La pedagogia come resistenza al Potere
di Goffredo Fofi
Ne ha curato un'antologia (La città e la scuola) appena uscita per i tipi di Elèuthera. In questo ricordo di Fofi l'alta lezione di storia e di metodo lasciataci da Lamberto Borghi.
In questo strano paese Italia si sono sprecati e
si sprecano riconoscimenti premi articoli per "grandi vecchi" che, tutto
sommato, lasciano e lasceranno un'opera discutibile e certo minore, in
azioni o in scritti, e si dimenticano altri, di loro migliori, per il solo
fatto che hanno vissuto le loro battaglie e le loro idee fuori dai grandi
circuiti del potere politico e culturale, sempre bisognoso di darsi
legittimazione idealizzando i pensatori più "utili", più transigenti consoni
integrati e che meno hanno messo (mettono) in discussione le basi e la
legittimità dei poteri consacrati. È il caso, oggi, anche di persone
notevoli, anche se meno di quanto essi stessi non credano e i media vogliano
farci credere, per esempio i Bobbio e i Foa, e di altre molto meno notevoli,
come i Fo e gli Scalfari.
Il potere, politico e culturale, negli anni dal dopoguerra a oggi, è stato
democristiano e comunista, cattolico e liberale, e di recente di nuovo anche
fascista e post-fascista, e i suoi critici non potevano certo appartenere a
queste formazioni; la vecchia schiatta dei liberal-socialisti (libertà in
politica e socialismo in economia) è stata sconfitta, molto presto, anche
attraverso il recupero di molti di loro, castrati e autocastratisi della
loro diversità, nel fiume di un liberalismo di tradizione, sì che,
risibilmente, molti sono passati dai Gobetti agli Agnelli eccetera eccetera.
Hanno resistito, senza mai arrendersi, e senza le illusioni di rivoluzioni
politiche che non fossero anche rivoluzioni culturali, pochi, condannati al
minoritarismo, ma senza nessuna vergogna o paura di questo, attenti a fare
bene il loro lavoro (e il "ben fare" è stata una loro bandiera) che era
bensì un lavoro di apertura, di allargamento, di lotta, di formazione di
nuove coscienze capaci di dimostrare la loro stessa tenacia e saldezza
morale. I loro allievi, sottoposti alle pressioni del tempo, si sono
perlopiù persi per strada, si sono istituzionalizzati e hanno fatto carriera
e sono diventati nuovi campioni del filisteismo nazionale. Ma così va il
mondo, e i maestri di cui parliamo l'avevano messo in conto, non se ne
stupivano più che tanto anche se certamente se ne addoloravano. Non si
trattava di "figli che tradiscono i padri" avendo ben assimilata la loro
lezione ma bisognosi di una propria strada e pronti a nuove battaglie dentro
i nuovi tempi, ma di traditori tout court di ideali e modelli, di principi e
postazioni...
L'amico Capitini
Il quasi silenzio che ha circondato la morte di Lamberto Borghi anche da
parte di tanti che egli aveva, magari, contribuito a mandare in cattedra,
non ci scandalizza più che tanto, mentre dà conforto, così come l'ha dato a
lui, che sia potuta uscire lui vivo una antologia dei suoi scritti che
rivendica la sua appartenenza al pensiero libertario e ricorda al lettore
interessato e all'educatore per vocazione e per collocazione professionale
come la pedagogia sia stata e possa essere ancora un'arte e una missione,
una scelta che probabilmente, nei tempi a venire, tornerà centrale nel
panorama delle possibilità di resistenza al potere.
Il libro di cui parlo è La città e la scuola, l'editore, ovviamente,
(pochi altri ne avrebbero accolto con altrettanta convinzione la proposta di
pubblicazione) Elèuthera.
La mia tesi è semplice, ed è costruita in buona parte sulla lettura dei
grandi educatori di ieri e in particolare degli scritti di Borghi, ripresi
in mano in funzione di La città e la scuola, e di quelli di Capitini
(in La città e la scuola è compreso non a caso, anche se accorciato,
il bellissimo saggio di Borghi in morte dell'amico Capitini, in un anno non
qualsiasi come il '68). È questa: prima c'erano gli educatori - i "maestri"
e "mastri", che erano poi spesso la stessa persona: trasmettitori di
conoscenze e di tecniche e al contempo di un sistema di modelli di
comportamento e di valori in cui socialità ed etica erano tutt'uno. Poi
vennero (alcuni di loro furono i primi a fare il salto) i "militanti",
membri di organizzazioni sempre più vaste e con compiti già di "potenti", e
la politica (in funzione della rivoluzione) sostituì l'educazione. Poi,
giunta al potere, la militanza rivoluzionaria rovesciò le sue vesti, e portò
al disastro ben noto della possibilità e della speranza di un diverso
potere. E infine, oggi, all'inizio di un nuovo secolo che secondo alcuni è
iniziato più di dieci anni fa con la caduta dell'impero sovietico e con la
caduta di ogni pretesa a un potere politico accentratore (mentre si assiste,
però, alla realtà mai prima realizzata di un unico potere economico mondiale
più che accentratore) con il fallimento di ogni grande progetto politico che
ha portato, corruzione dopo corruzione, perfino all'impraticabilità della
politica almeno in paesi come l'Italia, ecco che i "militanti" della
politica tornano a sostituirsi gli "educatori", i mastri e maestri, i
trasmettitori di conoscenze e valori, generazione dopo generazione, nella
coscienza di un'azione obbligatoriamente minoritaria. Da minoranza a
minoranza, da pochi a pochi, in attesa di sviluppi futuri e, chi lo sa?,
della sconfitta di ogni "realtà".
Questo non c'è, è ovvio, negli scritti di Borghi, ma è come se vi fosse
iscritto dovunque ed è una conseguenza che è perfettamente legittimo trarne,
così come è facile trarla dalla lettura di tanti altri pensatori e
"maestri".
"Faccia a faccia"
Rileggiamo il suo saggio sull'autonomia, che è, per quanto riguarda
l'educazione, autonomia della scuola dallo stato, dalla chiesa, dai partiti,
dai sindacati, dall'industria e da ogni altro potere, ma anche qualcosa di
più profondo e necessario: "Il problema dell'autonomia della scuola è parte
integrante di quello più generale dell'autonomia. Esso investe tutti i campi
della cultura, quelli dell'arte, della scienza, della filosofia e, più
largamente, i problemi del funzionamento e dell'organizzazione della vita
sociale, nonché quelli del lavoro che ne sono momenti integranti. (...)
Chiama in causa tutte le dimensioni dell'esistenza individuale e collettiva,
tutte le libertà formali e informali. (...) È rifiuto dell'esistente,
dell'acquiescenza alla realtà sussistente considerata e vissuta come data,
stabile, compiuta; mentre è intrinsecamente collegata all'innovazione, alla
creatività, alla progettazione che unisce insieme passato, presente e futuro
(...)". "La autonomia è una modalità della comunicazione" (e ciò "esclude
l'esistenza tra individui e tra gruppi di rapporti di assoluta dipendenza al
pari che di assoluta indipendenza, mentre postula legami fatti di
interazione, di reciprocità, di partecipazione di finalità sotto il profilo
intellettuale ed emotivo"). Passando da Cattaneo e Salvemini a Rogers e
Dewey, l'autonomia è alla base di ogni ideale federalistico, di ogni
educazione alla libertà.
Borghi insiste sul "faccia a faccia" del rapporto pedagogico, insiste in
sostanza sul legame minoritario, di minoranza cosciente dei propri limiti e
doveri e della propria forza, insiste sul reciproco riconoscimento dell'io e
dell'altro che è fatto di autoconsapevolezza e di ricerca di un terreno
comune, in funzione di un progetto comune.
Lamberto Borghi non ha teorizzato in proprio, se così si può dire, e ha
preferito, dall'interno del suo lavoro di professore universitario e di
maestro di maestri, un ruolo appartato e preciso, dentro una città e una
comunità precise. Venuto dalla Livorno della minoranza ebrea e dalla Pisa di
Capitini e dalla infima minoranza nonviolenta venuta dall'America di Dewey
Rogers Cassirer Macdonald Arendt, dall'amicizia di Caffi e Chiaromonte, dal
sodalizio con Codignola dentro "Scuola e città" di Firenze, egli si è voluto
trasmettitore e comunicatore, tramite un incontro tra il pensiero di chi,
prima di lui e dei citati, aveva già teorizzato e praticato autonomia e
libertà, e i possibili allievi continuatori di una pratica di ricerca e
confronto, tempo dopo tempo. I suoi saggi sono lezioni di storia e lezioni
di metodo: aprono gli occhi, insegnano a vedere, invitano ad agire.
Goffredo Fofi