Municipalismo libertario perché
di Murray Bookchin
Si è tenuta a fine agosto negli USA una
conferenza internazionale sul municipalismo libertario.
Pubblichiamo l'intervento di Murray Bookchin ed un resoconto di Janet Biehl.
Cari amici, la mia età, i malanni cronici e la
calura estiva mi costringono a non muovermi di casa; per questo mi dispiace
molto di non poter essere presente alla vostra conferenza sul municipalismo
libertario. Vorrei, però, grazie a Janet Biehl, che ha accondisceso di
leggervi queste mie parole, darvi il benvenuto nel Vermont e farvi i miei
auguri per le discussioni che avranno luogo nei prossimi tre giorni. Se
qualcuno di voi vorrà venirmi a trovare, alla fine dei lavori, a Burlington,
che oggi è bene o male il mio rifugio sicuro, sarò felicissimo di riceverlo.
Non fatevi scrupoli a chiamarmi e magari sarà possibile riuscire a vederci
durante o dopo questo incontro.
Intanto, in questo messaggio, vorrei toccare alcune delle questioni
sollevate in proposito delle precedenti discussioni sul municipalismo
libertario, esponendo le mie opinioni a riguardo. Forse la cosa più
importante è la distinzione che andrebbe fatta tra comunitarismo e
municipalismo libertario, una distinzione che spesso va smarrita quando si
discute della politica del municipalismo libertario.
Con il termine comunitarismo io intendo riferirmi a quei movimenti e a
quelle ideologie che aspirano a trasformare la società creando cosiddette
alternative nel campo economico e dell'esistenza personale, come le
cooperative alimentari, le scuole, le tipografie, i centri comunitari, le
aziende agricole di quartiere, gli squats e così via elencando. Tra
gli esponenti del comunitarismo, che si ispirano alle opere di Proudhon, ci
sono state personalità come Martin Buber, Harry Boyte, Colin Ward, per fare
qualche nome. Che sia o no esplicitamente teorizzato, il comunitarismo mira
a distaccare lentamente lo sviluppo dell'umanità dalla logica delle imprese
private (banche, grandi aziende, supermercati, fabbriche e sistemi
industriali in agricoltura) e avvicinarlo allo stile di vita che promuovono,
con imprese pubbliche e valori collettivi. La parola "comunitario" spesso è
sostituibile col termine "cooperativo", una forma di produzione e di scambio
che risulta attraente non solo perché richiama un senso d'amicizia e di
collettivo, ma anche perché è sotto il "controllo operaio" o la "gestione
operaia".
Il comunitarismo non cerca di creare un centro di potere che serva ad
abbattere un giorno il capitalismo, ma cerca di metterglisi in concorrenza,
di svalutarlo, di sopravvivergli, di fungere da barriera morale all'avidità
e alla malvagità che agli occhi di tanta gente rende così riprovevole
l'economia borghese. Non si tratta, per dirla in breve, di una politica, ma
di una pratica, spesso limitata a gruppi di piccole dimensioni che fanno la
"scelta" di acquistare o di lavorare in un'azienda cooperativa. Quando
indico in Proudhon uno dei padri del comunitarismo, anche se non è
esattissimo, faccio risalire la nascita di questa ideologia e di questa
pratica a circa centocinquanta anni fa, a un'epoca in cui la maggior parte
della produzione di oggetti era affidata agli artigiani e quella agricola e
alimentare a piccoli contadini. Da allora sono nate tante cooperative,
animate dalle più ambiziose speranze e destinate in genere a fallire, a
vivacchiare o a trasformarsi in imprese orientate al profitto. Per riuscire
a sopravvivere sul mercato capitalista, sono state regolarmente costrette ad
adattarvisi o sono state semplicemente annientate dalla concorrenza di
aziende animate da uno spirito di rapina e, nei fatti, più efficienti, ma
tutte orientate al profitto.
Un progetto antistatale
Anche dove le cooperative riescono a difendersi dalla concorrenza
capitalista, tendono a chiudersi in se stesse, a concentrarsi sui propri
problemi e interessi e, nella misura in cui sono in rapporto tra loro, a
puntare tutto sulla propria sopravvivenza o la propria espansione.
Soprattutto, capita molto raramente, se mai succede, che diventino centri di
potere popolare. Questo in parte perché le questioni attinenti ai pubblici
poteri in quanto tali non le toccano e in parte perché non hanno gli
strumenti per mobilitare la gente su temi che le coinvolgano, a proposito
del chi dovrebbe governare la società e del come dovrebbe governarla.
Sostenendosi con le idee che esprimono in campo sociale (e, con l'andar del
tempo, anche come idee socialmente valide queste sono defunte) sperano di
riuscire a superare a poco a poco il capitalismo senza doversi confrontare
con le imprese capitaliste e con lo Stato capitalista. Così, col tempo,
tendono a chiudersi in se stesse, a essere settarie e limitate, a riunire in
sé non collettivisti ma capitalisti collettivi e, in ultima analisi, a
essere più capitaliste che socialiste nella pratica e negli interessi.
Il municipalismo libertario, invece, è decisamente un'espressione politica
antistatale che vuole la democrazia, il rapporto diretto, faccia a faccia,
il dialogo, il confronto. è soprattutto attento alle questioni fondamentali
del potere. Pone questi interrogativi: dove dovrà sussistere il potere?
Quale parte della società dovrà esercitarlo? Quali istituzioni sono
necessarie per rendere possibile ed efficace un esercizio del potere non
statale? Se è vero che vivere/lavorare in una cooperativa può essere una
cosa buona per instillare nelle persone valori, interessi, relazioni di
stampo collettivista, le cooperative non offrono i mezzi istituzionali per
l'acquisizione del potere. Consentitemi di sottolineare questo termine,
"istituzioni", perché mi viene in mente uno slogan degli anarchici spagnoli
che diceva: "Guerra alle istituzioni, non al popolo." Io ritengo che uno
slogan del genere crei confusione e disorientamento, perché lascia intendere
che le persone politically correct siano individui "autonomi", liberi da
ogni obbligo istituzionale, mentre le istituzioni in quanto tali sarebbero
una sorta di gabbie che impediscono all'individuo di scoprire il proprio "io
autentico" e di realizzarsi.
No: è un grosso errore. Gli animali, senza dubbio, possono vivere senza
istituzioni (spesso perché il loro comportamento è geneticamente
condizionato), ma gli esseri umani ne hanno bisogno per modellare in modo
creativo le strutture sociali, basate non tanto su una supposta genetica o
su certe usanze, ma soprattutto su "forme di libertà" (come le definivo già
negli anni sessanta) razionalmente costituite che servono a organizzare ed
esprimere il potere in forma tanto collettiva quanto personale. Perciò, se
oggi dovessi riscrivere in forma più estesa il mio articolo The Forms of
Freedom, vi aggiungerei che sono necessarie costituzioni e leggi
formulate per mezzo di assemblee di democrazia diretta e aperte al dialogo.
In effetti, per molto tempo sono stati gli oppressi a richiedere e a
pretendere costituzioni e leggi, quali strumenti di controllo, anzi di
eliminazione del potere arbitrario esercitato da re, tiranni, nobili e
dittatori. Ignorare questo fatto storico e regredire a un "istinto di
solidarietà", a un "istinto rivoluzionario", a un "istinto di condivisione",
significa abbandonare un auspicabilissimo mondo civile per ritirarsi nel
mondo della bestialità, optare per una zoologia sociale che non ha senso
applicare all'umanità intesa come specie dalle capacità d'innovazione che
crea e ricrea se stessa come crea e ricrea il mondo.
A differenza del comunitarismo, il municipalismo libertario si preoccupa del
potere: non semplicemente del potere di autocontrollo che si può acquisire
partecipando a una riunione ispiratrice, ma il potere concreto che si
esprime in forme organizzate di libertà, concepite in modo razionale e
costituite con modalità democratiche. Se da un lato posso ben comprendere il
rifiuto di Proudhon, nella sua qualità di deputato alla Camera francese, di
votare una bozza di costituzione (che era orientata verso la tutela della
proprietà e la costruzione di uno Stato), respingo completamente le ragioni
che adduceva per questa scelta. "No!", aveva dichiarato, "Io non voto contro
la Costituzione perché è una costituzione più o meno cattiva, ma perché è
una costituzione." Un comportamento così fatuo lo faceva regredire,
intellettualmente come politicamente, nel mondo del potere arbitrario contro
il quale, nell'ottavo secolo avanti Cristo si schieravano i contadini greci
oppressi; come faceva Esiodo, che denunciava i "baroni", come li definiva,
che non facevano che asservire e sfruttare gli agricoltori ellenici, e
rivendicava una società basata sulla legge, non sull'arbitrio degli uomini.
Il municipalismo libertario vuole raggiungere il potere, non vuole
semplicemente sfruttare la rivendicazione del potere a scopi di propaganda e
di spettacolo, e non respinge l'uso del potere, ma vuole darlo in mano alla
gente nelle assemblee popolari.
E non ci serve molto che ci vengano a dire che per arrivare a una comunità
basata sui principi del municipalismo libertario bisogna prima prepararle il
terreno, cementandola con uno stile di vita basato sulla reciprocità come
quello offerto dalle attività cooperative. Fin troppo spesso le cooperative
sono diventate fini a se stesse e, quando ce l'hanno fatta, hanno
privilegiato gli scopi che rispondevano alle proprie logiche interne,
opposte alle comunità per le quali volevano rappresentare un riferimento. Ne
ho viste tante, di cooperative alimentari che non solo chiudevano gli occhi
davanti alle altre dello stesso tipo, entrando addirittura in concorrenza
con loro, ma che abdicavano a tutte le loro supposte attività "educative",
togliendo a tutti i propri associati ogni potere e trasformandoli in
semplici clienti. Costrette dal capitalismo ad adottare i metodi
dell'organizzazione capitalistica, assumono manager e specialisti del
business di un genere o di un altro, col risultato che, invece di educare i
propri associati, esse rivestono il capitalismo con i panni eleganti delle
istituzioni virtuose.
Educazione e formazione
Il municipalismo libertario si impegna in ogni modo per non affondare
nella palude comunitaria, perdendo la propria identità per dedicarsi alla
costruzione, al mantenimento e all'espansione di cooperative,
indipendentemente dal fatto che questa sia o no una cosa buona. Il
municipalismo libertario è il tentativo di recuperare e superare la
definizione aristotelica dell'uomo quale zoon politikòn, animale
politico. "L'uomo" o quanto meno, l'uomo greco, nella Politica di
Aristotele, è chi vive nella polis, cioè in un municipio e non, come
spesso si ritiene erroneamente, una città-stato. è questo uno dei teloi,
dei fini dell'uomo, una forma che si attualizza in quanto essere umano. Per
esprimersi in termini religiosi, egli è destinato a essere l'abitante della
polis, della città, nella misura in cui realizza la propria umanità.
I suoi teloi, che comprendono un sistema di leggi (di diritti come di
doveri) razionalmente e democraticamente costituito, includono anche la sua
facoltà di essere cittadino, vale a dire un essere umano preparato, con una
formazione o paideia che dura tutta la vita, in modo da possedere
tutte le competenze che servono per assumersi tutti gli impegni di
autogoverno. Deve essere capace, intellettualmente come fisicamente, di
surrogare tutte le funzioni socio-politiche assunte dallo Stato, in
particolare quelle dell'apparato fatto di militari, polizia, burocrati,
rappresentanti legislativi e così via. Lo Stato non è liquidato solo
istituzionalmente, ma anche soggettivamente, rendendo la gestione della
società una faccenda rigorosamente umana. Lo Stato, in sostanza, è
sostituito da cittadini liberi e istruiti che, all'interno di assemblee
popolari, ne eliminano la pretesa di avere la competenza esclusiva su di sé,
che giustifica la propria esistenza col fatto che i suoi costituenti sono
bambini ignoranti che hanno bisogno di un "padre" capace di gestire le loro
faccende.
Vorrei aggiungere che la paideia richiede un'educazione e una
formazione rigorose, anzi la costruzione di un carattere e di un integrità
etica, se si deve giustificare la competenza del cittadino (la sua capacità
di sostituire lo Stato). È così non solo eliminando lo Stato, ma anche
eliminando la gerarchia. Un'educazione e una formazione rigorose implicano a
loro volta non fatui tentativi di "espressione dell'io", spesso di un io
appena sbozzato e non ancora formato, ma un processo di apprendimento
sistematico, programmato con cura, bene organizzato. L'umanità non può
produrre cittadini se l'educazione e la formazione che essa assicura ai
giovani avviene attraverso gruppi d'incontro che si presumono "spontanei",
in cui lo studente è chiamato ad accettare qualsiasi cosa gli venga
somministrata. Proprio questa attenzione alla paideia rende la
Repubblica di Platone un'opera così grande nonostante i suoi tanti
difetti: in realtà, molti dei testi migliori dalla filosofia greca
racchiudono idee su come educare i giovani per farne dei cittadini capaci
non solo di riflettere in modo sistematico, ma anche di usare le armi per
difendersi e per difendere la democrazia. La democrazia ateniese, vorrei
aggiungere, fu raggiunta quando la cavalleria aristocratica fu sostituita
dagli opliti, i soldati di fanteria, la guardia civile del quinto secolo
avanti Cristo, che assicurò la supremazia del popolo al posto di quella
della nobiltà.
La questione del potere
Così, il municipalismo libertario non esclude il potere, un potere
concreto, non semplicemente quella forma alla moda di "potere di
autocontrollo", che sovente altro non è che uno stato di esaltazione emotiva
più o meno simile a quello che danno certe droghe. Si tratta di una ripresa
e un'estensione della tesi aristotelica secondo la quale gli essere umani
sono costituiti per vivere come "animali politici". è una comunità
strutturata, che possiede una sua costituzione e una sua legislazione,
fondate su basi razionali e democratiche. è formazione degli individui,
membri a pieno titolo del municipio, foggiati eticamente e intellettualmente
attraverso un processo di costruzione del carattere che definiamo paideia.
Sono il municipio e la confederazione di municipi che, grazie alle
competenze, al potere armato, alle istituzioni democratiche e al metodo che
affronta problemi e questioni con il dialogo, non solo è in grado di
sostituire lo Stato, ma anche di svolgere le funzioni socialmente necessarie
di cui lo Stato si è appropriato a spese del potere popolare, con la scusa
che i suoi appartenenti sarebbero ragazzini incapaci. È questo il regno
della politica, il suo universo reale, che rischia di essere completamente
cancellato da una società che sempre più assomiglia a una Disneyland e che
ci spinge a dar vita a un movimento per riappropriarcene e svilupparlo. Se
si lascia che questo regno della politica sia soffocato all'interno di
istituzioni e di attività comunitarie, si perde del tutto di vista la
necessità di ripristinarlo, anzi si svolge un ruolo bambinesco, se non
reazionario, di disgregazione. Lo Stato si giustifica non solo per
l'indifferenza dei suoi componenti rispetto alle faccende pubbliche, ma
anche, e soprattutto, per la loro incapacità di gestire queste faccende.
Chiunque si faccia complice di questa apologia ideologica dello statalismo,
negando l'esigenza di un regno della politica o confondendolo
superficialmente con la creazione di cooperative, di istituzioni, di gruppi
d'incontro, di feste di strada, di dimostrazioni, di scontri tra i giovani e
"l'autorità", nei panni di patetici e normali lavoratori con addosso le
uniformi di polizia, si fa anche complice di quelle tesi ideologiche secondo
le quali la formazione di assemblee pubbliche dotate di pieni poteri sarebbe
una forma di statismo e la "libertà" sarebbe raggiungibile semplicemente
tirando un mattone a un poliziotto o creando una "zona temporaneamente
autonoma".
Non voglio certo ignorare i giganteschi problemi che comporta questo insieme
di concetti. è importantissimo il tipo di movimento (anzi di "avanguardia",
un termine abusato, che la Nuova Sinistra ha guastato associandolo ai
bolscevichi) che va creato, che deve svolgere un ruolo educativo e, ebbene
sì, di leadership, indispensabile per generare le trasformazioni richieste
dal municipalismo libertario. Consentitemi, intanto, di dissociarmi da I.S.
Bleihkman, il massimo esponente dei comunisti anarchici di Pietrogrado che,
quando i marinai di Kronstadt, insieme alla guarnigione di Pietrogrado e
agli operai più coscienti decisero di "uscire allo scoperto" con le armi in
pugno, nel luglio del 1917, per costituire un governo sovietico, rispondeva
all'appello a organizzarsi con la stupida parola d'ordine: "Saranno le
strade a organizzarvi!" Le strade, manco a dirlo non organizzarono un bel
niente e nessuno e, mancando una vera leadership, l'insurrezione fallì nel
giro di pochi giorni.
Fasi distinte
Riesaminando una gran mole di materiali relativi alle rivoluzioni del
passato, il problema principale che ho incontrato è stato appunto quello del
tipo di organizzazione che potrebbe fare la differenza, tra la sopravvivenza
e la morte, in un sollevamento rivoluzionario. Mi si è fatta sempre più
chiara in testa l'esigenza di creare un'organizzazione capace di operare
positivamente e di prendere iniziative (un'avanguardia), che sia impegnata
nella propria rigorosa paideia, che sappia formare proprie
istituzioni, basate su una costituzione razionale, che s'impegni a cooptare
cittadini istruiti e motivati, che abbia una propria struttura e propri
programmi. Questa organizzazione potrebbe essere benissimo considerata una
sorta di polis in via di formazione, capace di tutelare i principi di fondo
del municipalismo libertario, evitando che siano assorbiti da qualcuno
(destino abituale delle buone idee oggigiorno), che sappia alimentarli,
farli crescere e applicarli in situazioni complesse e difficili.
Se non si hanno principi solidi e chiari, si è semplicemente senza principi:
si svolazza nell'etere delle vaghe opinioni, senza autentiche idee, con
concetti improvvisati e non con concezioni profonde, si fanno castelli in
aria e non teorie solide con solide fondamenta. è vero che i principi si
possono cambiare, ma la tesi secondo la quale i principi devono restare nel
vago è lo specchio dell'attuale mentalità postmoderna, priva di spina
dorsale, che vede tutto relativo, che ritiene che non ci sia nulla di
fondamentale, che ritiene che idee prive di forma, come amebe, meritino una
seria attenzione, che pensa che ogni struttura sia autoritaria se non
totalitaria e che i sentimenti siano più importanti di un pensiero profondo
e sistematico. Senza un'organizzazione chiaramente definibile, si ricade
nella tirannia del non strutturato, proprio come, nel caso del compromesso
con il consenso, si maschera il fatto che una minoranza (sia essa di uno, di
dieci o di venticinque su cento) costituisce un nuovo sistema autoritario al
cui interno uno, dieci o venticinque stabiliscono una vera tirannia che può
negare la scelta dei novantanove, novanta o settantacinque della
maggioranza, con l'assurda affermazione che un quasi consenso bloccherebbe
la "tirannia" della maggioranza.
Ho proposto che si crei attraverso fasi distinte un movimento del
municipalismo libertario, un movimento che, credo, in ragione delle idee
avanzate, della sua preparazione e della sua esperienza abbia tutti i
diritti di ritenersi di avanguardia. Certo, qualsiasi altra organizzazione
può dichiararsi tale. Io non sostengo certo che solo un'organizzazione
municipalista libertaria abbia il diritto di negare ad altre la facoltà di
ritenersi avanguardie; saranno i fatti e le masse a decidere. Non voglio
nemmeno negare ad altre organizzazioni che si dicono d'avanguardia il
diritto di farlo, né tento di limitare loro questa possibilità. Ma è mia
opinione che non si verificherà mai un importante cambiamento della società
senza un movimento di avanguardia bene organizzato, che prenda molto sul
serio la propria struttura e che stabilisca regole precise di adesione.
(...)
L'ultima occasione
Oggi il mondo sta cambiando a una velocità davvero stupefacente. Ho
affermato più volte che, se il capitalismo non distruggerà il pianeta, il
mondo forse tra trent'anni, ma sicuramente entro cinquanta, subirà una
trasformazione che va al di là di ogni nostra fantasia. Il mondo contadino
scomparirà del tutto, non solo: anche quella natura che noi definiamo
"selvaggia" non ci sarà più. è probabile che l'automazione dell'industria
raggiunga livelli impensabili e che la superficie della terra subisca enormi
trasformazioni. Non so, e non saprò mai, se questi cambiamenti provocheranno
una crisi ecologica o se saranno affrontati, sia pur in modo insufficiente,
dalla scienza e dalla tecnica. Sono tanti gli interrogativi su come sarà il
mondo di domani, e io non cercherò di ragionarci troppo sopra, ora la mia
vita sta volgendo al termine.
Di una cosa, comunque, io sono convinto: se un movimento municipalista
libertario non riuscirà a favorire la nascita di un sistema a democrazia
diretta e confederale, si dovranno rivedere drasticamente tutti gli ideali
libertari. Non raccontiamoci storie, vi chiedo, nella speranza di riuscire a
realizzare una società autenticamente libertaria senza creare una sfera
pubblica, partendo da una politica elettorale che coinvolga la base e che si
fondi sulla costituzione di assemblee a democrazia diretta. è questa, io
credo, l'ultima occasione offerta al movimento libertario. Se non siete
d'accordo, benissimo, ma in tal caso vi chiedo di usare un'etichetta diversa
per le vostre idee: lasciate stare il nome di "municipalismo libertario" e
seguite la vostra strada fiancheggiata da imprese comunitarie e cooperative,
se non da monasteri taoisti e da dimore mistiche. Vorrei pregare i miei
critici di non contaminare le idee che non apprezzano e nello stesso tempo
affermano di sostenere.
Grazie
Murray Bookchin
(traduzione dall'inglese
di Guido Lagomarsino)
Ecologia sociale a convegno
La seconda di una serie di due conferenze sul tema "La politica
dell'ecologia sociale: il municipalismo libertario" si è svolta a
Plainfield, nel Vermont, dal 26 al 29 agosto e faceva seguito a una
prima tenutasi l'anno scorso a Lisbona.
Janet Biehl |