La libertà secondo Luce Fabbri
di Margareth Rago
Due anni fa, in occasione dei la ricercatrice brasiliana Margareth Rago pubblicava sul periodico uruguayano "Brecha" questo saggio.
Dolce e fragile di aspetto, questa donna è forse una delle poche persone che la parola "intellettuale" definisce naturalmente. Pensatrice e militante anarchica, storica e critica letteraria, Luce Fabbri era arrivata da giovane in Uruguay per sfuggire al fascismo. Qui è vissuta, lottando e creando un’opera originale che trascende le frontiere dei saperi.
Ho conosciuto Luce Fabbri a San Paolo nell’agosto
del 1992, a un congresso internazionale anarchico che si teneva nella sede
della locale Università Cattolica. In un’atmosfera molto animata e colorita
si erano riuniti, per una settimana, studenti, intellettuali e militanti di
varie generazioni e di diverse nazionalità che discutevano dei più svariati
argomenti. Io ero l" per partecipare a una tavola rotonda sull’esperienza
delle "Donne anarchiche". Proprio davanti a me, seduta in prima fila in una
platea stracolma, c’era una signora anziana, delicata, con i capelli
bianchi, che ascoltava con molta attenzione. Alla fine mi abbordò con alcune
osservazioni inquietanti. In quel momento provai una strana sensazione: i
ruoli si erano capovolti e io dovevo stare ad ascoltare invece di parlare.
Mi esortava a tenere conto della complessità della funzione di storico: io
avevo storicizzato la sua esperienza, raccontavo il suo passato. Mi spinse a
pensare alle relazioni tra storia e memoria.
In genere gli incontri "forti" mi spiazzano un po’ e mi ci vuole un certo
tempo per capire che cosa sta succedendo. In effetti, ero già impegnata
nello studio delle donne anarchiche, a San Paolo e a Rio de Janeiro, però
sentivo il bisogno di incontrare qualcuna la cui esperienza di vita fosse
più caratteristica, più rivelatrice di un’esperienza anarchica. Da quel
momento il dialogo era cominciato.
Pochi giorni dopo cominciammo a registrare le sue memorie, in casa di un
altro storico militante, il professor Mauricio Trajtenberg. Tre anni dopo la
incontrai per la prima volta a Montevideo, nella calle J.J. Rousseau, del
quartiere della Union, per continuare la serie delle interviste cominciata
da quel primo contatto in Brasile. Lì, in uno studio silenzioso le cui
pareti erano interamente coperte di scaffali con testi di Proudhon, Bakunin,
Kropotkin, Machiavelli, Leopardi e Dante, tra vari quaderni, fogli volanti,
carte ingiallite, Luce prese a raccontarmi, in modo calmo e riflessivo,
delle sue esperienze politiche, intellettuali e personali. A poco a poco mi
fece entrare nel suo universo.
Suo padre, il professore e militante anarchico Luigi Fabbri, sua madre
Bianca e suo fratello Vero emersero a poco a poco nella sua memoria, sempre
segnata da nomi importanti dell’anarchismo internazionale e anche di noti
socialisti. Il primo estraneo alla famiglia che entrò in scena fu il
carismatico Errico Malatesta, amico personale del padre, ammirato in tutta
Italia. Mentre osservavo un suo ritratto in bianco e nero appeso alla
parete, Luce mi raccontava come aveva imparato a usare alcuni giochi
meccanici che Malatesta aveva regalato a lei e a suo fratello, venendo in
visita dell’amico Fabbri: "Malatesta fu per noi una specie di zio. Quando
arrivava era una festa per noi. Si sedeva per terra e restava a giocare con
noi piccoli anche per un’ora. Gli volevo molto bene."
Si può dire che Luce ebbe un’infanzia e un’adolescenza relativamente felici,
senza le tradizionali repressioni e censure a cui generalmente sono
sottoposti la maggior parte dei bambini. Certo, l’armonia familiare si
vedeva turbata dai problemi esterni. In un accogliente ambiente libertario,
in convivenza con figure significative del movimento operaio italiano dei
primi decenni del secolo, molto presto la giovane dovette assistere a
frequenti persecuzioni politiche contro i rivoluzionari, i crudeli
avvenimenti della Prima Guerra mondiale, la rapida nascita delle squadracce
fasciste. In uno scritto di molti anni dopo, Luce porta la propria
testimonianza diretta dell’emergere del fascismo: "Fui testimone di questa
nascita: Bologna, la città in cui vivevo, fu sempre considerata il
principale centro d’irradiazione del fascismo e, mentre con mio padre
frequentavo ambienti legati alla scuola, alla stampa, ai partiti di sinistra
e ai sindacati operai, nella mia condizione di studentessa media ero in
contatto con quelle famiglie della piccola e media borghesia di provincia i
cui figli, insieme a elementi operai senza lavoro, avevano formato i primi
contingenti delle camicie nere. [...] Intorno a me sentivo molto odio e
molto amore: si viveva tra i malintesi e si cercava la verità. La strada era
piena di tumulti e di esasperazione, la mia casa un incrocio sereno (a
momenti triste a momenti gioioso) di correnti contrastanti, le case dei miei
compagni di scuola in maggioranza oppresse da un silenzio reticente, pieno
di rancore, di disprezzo, che trovò una propria voce quando le prime
"spedizioni punitive" mostrarono pugnali e coltelli.
La ricerca della libertà
A differenza di tanti intellettuali ingannati dalle prime manifestazioni
del fascismo, dice Luce, gli operai di fabbrica e i contadini compresero fin
dall’inizio il carattere conservatore e antisocialista del movimento. Per
loro le camicie nere furono immediatamente i principali nemici delle
cooperative, dei sindacati, delle autonomie locali e del socialismo in
generale. Il fascismo sorse, in realtà, come una "controrivoluzione
preventiva", dice lei citando il titolo di un libro scritto da suo padre nel
1921.
In questo modo Luce crebbe con un profondo amore per la libertà e un grande
orrore per il potere, la violenza e la disuguaglianza sociale. L’ascesa del
fascismo, negli anni che seguirono, provocò la separazione della famiglia e
l’esilio. "Le persecuzioni continue ci costrinsero a lasciare il paese.
Fuggimmo attraverso la frontiera con la Francia, a distanza di un anno uno
dall’altro. Dopo una breve permanenza a Parigi, decidemmo di venire in
Uruguay. Non avevamo documenti, solo quei certificati che rilasciava il
governo francese: "Dice chiamarsi..." Correva l’anno 1929. Mio fratello era
rimasto in Italia e portava avanti un’attività di opposizione. Quando fu
chiamato alle armi riuscì a fuggire mentre lo stavano deportando in
Germania. Potei rivederlo solo dopo la guerra, quando venne in Uruguay."
Nel 1928, appena laureatasi in lettere all’università di Bologna, Luce
dovette partire in fretta e furia per incontrarsi con i suoi genitori che,
rifugiatisi a Parigi, la aspettavano con ansia. Tutto si svolse così molto
in fretta: la fuga attraverso le Alpi, i passaporti falsi, l’imbarco
clandestino su un mercantile che li portò in Sud America, lo sbarco al porto
di Montevideo, dove furono accolti da compagni anarchici come Antonio Destro
e Moscallegra.
Qui Luce non tardò a integrarsi, pur parlando uno spagnolo un po’ antiquato
che aveva imparato nei corsi di letteratura a Bologna. Era entrata in un
gruppo di donne che si riuniva nella sede del sindacato dei panificatori,
dove seguiva corsi serali di spagnolo insieme ad altri esiliati politici. Il
gruppo si occupava di raccogliere fondi per i prigionieri politici,
organizzava picnic di solidarietà, faceva volantini. In quel periodo
Montevideo era piena di rifugiati politici espulsi da Buenos Aires dal
governo del generale Uriburu, che li estradava in Italia o in Spagna. Grazie
al sostegno dei compagni, essi trovavano rifugio a Montevideo, potevano
trovare qualche lavoro e fuggire alle dittature.
Da militante anarchica Luce si trasformò in insegnante di storia alle scuole
medie, per poi passare, nel 1949, nel corpo docente della Universidad de la
Republica, alla cattedra di letteratura italiana. La sua produzione
intellettuale, cominciata già in Italia con una tesi su Eliseo Reclus e con
qualche articolo di filosofia politica, trovò così modo di espletarsi. La
militanza politica si arricchì con la pubblicazione della rivista "Studi
Sociali", che Luce diresse dal 1936 al 1945, e di altri periodici che
promuovevano la resistenza al fascismo e la diffusione degli ideali
anarchici. "La redazione, le bozze, l’impaginazione, il trasporto delle
copie, i pacchi da spedire: era tutto sulle mie spalle. Mi aiutavano il mio
compagno e mia madre. La rivista stava in piedi grazie alla collaborazione
di operai e di rifugiati in varie parti dell’America, che organizzavano
picnic, per esempio, e mandavano assegni di tre dollari o di somme del
genere."
Nel 1943 partecipò alla pubblicazione di "Socialismo y libertad",
un’esperienza innovatrice nel campo delle riviste militanti, in cui
socialisti, anarchici e repubblicani collaboravano uniti nella resistenza
antifascista. "Volevamo dimostrare come, pur avendo idee diverse, con un
impegno comune di fondo era possibile far convergere i nostri sforzi."
A fianco di suo padre e poi dopo la sua morte, nel 1935, Luce si era molto
impegnata nella lotta contro il fascismo italiano, responsabile del suo
esilio in Uruguay, contro la dittatura di Gabriel Terra, contro il regime
franchista, soprattutto a sostegno degli anarchici nella rivoluzione
spagnola e, poi, contro la dittatura militare. La sua militanza attiva non
solo la vedeva impegnata a scrivere innumerevoli articoli di denuncia sulle
riviste da lei stessa pubblicate, come "Rivoluzione libertaria", con
l’aiuto del marito Ermàcora Cresatti e di sua madre, ma anche
nell’organizzazione di riunioni e di incontri, nella raccolta di fondi a
favore di compagni, come Inés Guida, da poco scomparsa.
In Uruguay la lotta antifascista, che vedeva alla testa gli anarchici
italiani e latinoamericani, portò alla formazione di vari nuclei politici in
cui si discutevano i fatti del giorno e le strategie da portare avanti.
C’erano gruppi anarchici, socialisti e comunisti e, nel Cìrculo Italiano, un
nucleo importante che riuscì a sottrarsi all’influenza fascista, c’erano,
racconta Luce, i più vecchi garibaldini:
"L’antifascismo trovava molto sostegno. Mi ricordo che, quando tenevo corsi
d’italiano al liceo, nel 1940 o ‘41, sulla lavagna mi scrissero frasi contro
l’esercito italiano, per esempio che i soldati erano ladri e codardi, con
l’intenzione di offendermi. Erano i primi giorni di scuola, non mi
conoscevano, e quindi non trovai altra soluzione che dire: "Ragazzi, io sono
arrivata qui per avere libertà e comprensione." Be’, i ragazzi sembrarono
contentissimi. E il giorno dopo sulla lavagna trovai scritto: "Viva Italia
Libre!", "Viva De Gaulle!", "Viva Churchill!" In quel momento mi resi conto
quanto fosse difficile farmi capire."
Bisogna dire che un’esistenza segnata da tanti momenti di isolamento e di
persecuzione violenta agli anarchici e ad altri gruppi di sinistra non la
rese affatto pessimista. Anzi, Luce rivolgeva lo sguardo verso quegli spazi
in cui s’incontravano pratiche di libertà, che indicavano cammini
alternativi. Con il suo atteggiamento positivo, riusciva a intervenire
tempestivamente.
Questo mi fa venire in mente di quando le raccontai la mia sorpresa quando
mia figlia, allora una bambina, si era messa a discutere la teoria di
Charles Darwin. Luce mi rispose che sarebbe stato utile farle leggere "il
mutuo appoggio" di Kropotkin, dove si critica l’evoluzionismo dimostrando
che nessuna società può sopravvivere senza solidarietà e cooperazione.
Credo che l’arma principale di Luce sia la parola, soprattutto la parola
scritta. E tutti i suoi libri, gli opuscoli, i tantissimi articoli si
riferiscono agli argomenti più disparati e travalicano le frontiere
tradizionali da una disciplina all’altra, passando dalla politica, alla
pedagogia e al linguaggio, dalla storia alla critica letteraria. Ma tra
tutti è possibile individuare un punto comune: la ricerca della libertà, nel
passato come nel presente.
Tra militanza e poesia
Si può dire che la vasta produzione politica e intellettuale di Luce
Fabbri si orienta verso tre grandi temi: la critica al fascismo e al
totalitarismo, tenendo conto della valorizzazione della libertà e degli
ideali democratici e l’attuazione del progetto anarchico; la letteratura
italiana, la linguistica e la critica letteraria; e, infine, la pedagogia.
Diversi suoi libri e articoli pubblicati sulla stampa vogliono spiegare il
fenomeno del fascismo, che tanto ha segnato la sua vita. Camisas negras
(1933) fu pubblicato in seguito alle conferenze che aveva tenuto a Rosario.
Tra i suoi opuscoli, si possono ricordare El totalitarismo entre dos
guerras, La libertad entre la historia y la utopia, El fascismo, definición
e historia, Sotto la minaccia totalitaria del 1962. In tutti è presente
una critica decisa al totalitarismo e la critica anarchica al potere e alla
violenza costitutiva dei rapporti economici, nel mondo capitalista come in
quello comunista. Gli avvenimenti rivoluzionari del 1936 in Spagna avevano
già dato origine alla Antologia de la revolución española pubblicata
nel 1937 con lo pseudonimo di Luz de Alba.
Tra i suoi saggi politici spicca La libertà nelle crisi rivoluzionarie
del 1947, L’anti imperialismo, l’anticomunismo e la pace del 1949 e,
soprattutto, La strada del 1952, in cui Luce illustra la propria
visione dell’anarchia. Più di un punto di arrivo che ci aspetta
all’orizzonte, essa dice, l’anarchia si costruisce andando avanti, con la
ricerca quotidiana della libertà che rivoluziona radicalmente il presente.
Nel 1983 Luce pubblica El anarquismo, más allá de la democracia, un
saggio che ampia l’insieme dei testi militanti, profondi ma pratici nello
stesso tempo, in cui discute scottanti questioni politiche e chiarisce
concetti e posizioni e definisce i programmi d’azione.
Nel mezzo del discorso politico emerge senza dubbio la poetessa sensibile.
I canti dell’attesa del 1932, da lei definito "libro de exilio y de
estierro", raccoglie poesie composte in Italia, omaggi a Montevideo che la
accolse "a braccia aperte", ed espressioni di nostalgia e di affetto per la
terra natale. Lo stesso sentimento che la spinse, molti anni dopo a
dedicarsi allo studio con La poesía de Leopardi (1971). Varie opere
di critica letteraria completano un lavoro instancabile: "Las corrientes de
critica e historiografia literarias en la Italia actual" (1955), "La poesia
del ‘paraíso’ y la metáfora de la nave" (1960) e "Alegoría y profecía en
Dante" (1962) tra gli altri.
Più di recente Luce pubblicò uno studio su Machiavelli, presentato come
introduzione alla traduzione in spagnolo da lei fatta del Principe,
un lavoro sui canti di Dante e, nel 1966, fece uscire una biografia del
padre intitolata Luigi Fabbri, storia d’un uomo libero. Negli ultimi
anni è impegnata a scrive un’opera sull’autodidattismo che essa considera un
fenomeno caratteristico della classe operaia nella sua "età dell’oro".
Penso che sia ora di dare maggiore spazio al suo profondo contributo teorico
e ideologico al pensiero libertario contemporaneo. Le sue acute riflessioni
l’hanno portata ad ampliare la dottrina anarchica che le era stata trasmessa
dai primi teorici e da suo padre, affrontando di volta in volta le questioni
che questa corrente politica non era stata capace di aggiornare e proponendo
nuove alternative per il mondo contemporaneo.
Luce e l’anarchia contemporanea
Tutta l’esperienza di Luce nel corso degli oltre novant’anni della sua
esistenza è profondamente immersa nell’anarchia, in un modo molto speciale,
fin dalla culla. La forza del movimento libertario nei luoghi e nei periodi
in cui visse, soprattutto negli anni venti, segnò sicuramente in modo
indelebile le vicende della sua vita, al punto che non è pensabile senza
l’anarchia e in lei persona e teoria coincidono.
Si può dire che l’anarchia sia un atteggiamento permanente, un modo di
essere, e che in Luce si realizza in modo continuo. La lotta contro tutte le
manifestazioni di autoritarismo, contro i rapporti di potere, contro i
regimi politici autoritari, contro il fascismo italiano come contro la
dittatura militare uruguayana, contro i partiti gerarchici di sinistra come
di destra e contro i micropoteri che ci costituiscono in modo impensabile,
come insegna Michel Foucault, è stato il sentimento prevalente di tutta la
sua vita.
Luce si definisce anarchica socialista ed è capace di proporre "un’utopia
per il secolo XXI", rinnovando a suo modo il pensiero libertario. Le sue
tesi respingono la tradizionale identificazione tra centro e ordine ed ella
afferma che la nuova organizzazione sociale deve costituirsi "dal basso",
dalla libera associazione di individui in cooperative di produzione, di
consumo, di abitazione e di studio, come si sono viste crescere in Uruguay e
in molte parti del mondo occidentale:
"Il centro crea certo ordine, in apparenza molto solido e in realtà assai
debole: basta attaccarlo perché quest’ordine si trasformi in caos. Un altro
ordine esiste, molto più vitale, che si crea dal basso, per associazione, e
che, anche se una parte risulta condannata, resiste in tutte le altre parti.
Per le stesse ragioni l’identificazione dell’ordine con il centro e del
centro con il potere centrale risulta solo apparente."
Questo caos prevale nel mondo attuale, profondamente gerarchizzato e
centralizzato, in cui si vive una fase di riflusso, di frustrazione e di
sfiducia, in cui si proclama la morte delle utopie, del "socialismo reale" e
della propria storia. Ciò nonostante, dice Luce, il capitalismo non può
essere pensato come un’utopia, perché non è nato da un programma, ma "dai
fatti, e fatto proprio, senza molta autocoscienza, da una classe sociale in
ascesa che, per ascendere, non poteva non impadronirsene. Non ha altro
programma se non quello di arrivare al potere per mezzo della ricchezza. Per
questo può cambiare di forma e di struttura, adattarsi ai vari regimi
politici, proclamare l’assoluta libertà del mercato, o burocratizzarsi
intorno a uno Stato protettore, a seconda dei momenti. La sua forma attuale
è quella delle multinazionali, autentici stati internazionali invisibili,
che tengono le redini del mondo."
Così, l’unico limite allo sfruttamento capitalista è la resistenza degli
oppressi e per questo Luce non crede che il socialismo sia morto, "perché la
solidarietà è l’unica risposta alla crisi. E dove la solidarietà ha prevalso
sulla sete di guadagno sono sempre nate forme di socialismo spontaneo, come
un tempo le comunità cristiane del I¡ secolo della nostra era. Quello che è
proprio morto è il socialismo statale, nella duplice forma del totalitarismo
e della socialdemocrazia; è morto il socialismo delle riviste e dei libri,
che in realtà non è mai esistito."
Luce ritiene che il socialismo libertario, federalista e dell’autogestione
possa essere l’utopia del futuro. Considerando le agitazioni del "tormentato
secolo XX", ritiene che sia importante valorizzare le conquiste democratiche
della rivoluzione francese che, all’inizio del secolo parevano "pure
menzogne", finché il fascismo, il nazismo e lo stalinismo ne misero in luce
l’importanza, e che hanno reso possibile il sorgere del socialismo.
"Grazie a queste povere libertà ‘formali’ [...] il socialismo crebbe e mise
radici nel cuore dei poveri e nelle aspettative dei sociologi. Il socialismo
ha realizzato la sua duplice esperienza statale: quella dittatoriale e
quella democratica. In entrambe ha fallito. Però non è fallita affatto
l’alternativa che si moltiplica silenziosamente nella base sociale."
Un periodo opaco
Luce critica l’affermazione secondo cui l’anarchia non sarebbe possibile
nel mondo contemporaneo, in cui predominano società di massa estremamente
burocratizzate e centralizzate, mentre l’anarchia predica il decentramento e
la moltiplicazione di piccole comunità capaci di prendere decisioni in
assemblee plenarie:
"Naturalmente la risposta a questa obiezione è il federalismo. La comunità
naturale, nel cui ambito l’individuo si sviluppa liberamente, è solo quella
piccola. Le comunità di questo genere possono articolarsi tra loro formando
una grande varietà di comunità più grandi, secondo interessi distinti, fino
ad arrivare a metterle in relazione su scala mondiale. Le nuove tecnologie
facilitano grandemente queste relazioni e rendono possibile il
decentramento."
Alla stessa stregua Luce avvalora, come anarchica, le nuove modalità della
democrazia diretta che si sviluppano nel mondo, facilitate dallo sviluppo
tecnologico capitalista: "I media, mal definiti della comunicazione (dico
"mal definiti" perché trasmettono messaggi in un unico senso, dai pochi che
li controllano, verso i molti che vedono e sentono, ma non interrogano, non
rispondono, non emettono messaggi propri) hanno senza dubbio la possibilità
di sviluppare una tecnologia che permetta di farli funzionare nei due sensi.
Per la prima volta s’intravede la possibilità dell’intervento di un gran
numero di persone (tutte quelle direttamente interessate) nella presa di
decisioni collettive e nelle discussioni che precedono tali decisioni [...].
I mass media possono, potranno trasformarsi, se lo vogliamo, negli strumenti
di autodemassificazione della base sociale (impiego questo orribile termine
per brevità). Attraverso questi è possibile rompere i potenti monopoli che
li dominano e questa lotta è di tutti, perché si tratta della conquista
popolare della voce, che è il punto di partenza della socializzazione del
potere."
Secondo Luce, quello che stiamo attraversando è "un periodo opaco di
stanchezza", che però non può impedire di studiare e "creare spazi fuori
degli schemi del sistema, per sfruttare a vantaggio di tutti le tecniche
finora monopolizzate dai potenti."
Questa donna, la cui esistenza abbraccia tutto un secolo e che ha vissuto
intensamente, che ha provato forti passioni, conserva le proprie convinzioni
più limpide e lucide: "Il socialismo libertario", afferma con serena
certezza, "a differenza di tanti altri progetti non centra la propria
vittoria nella conquista del potere ed è l’unica utopia che non è stata
smentita sul piano teorico dai fatti. In pratica, nel concreto degli eventi
quotidiani, il progetto anarchico è abituato alle sconfitte [...] Il secolo
XXI non sarà facile. In questi ultimi anni del millennio, noi che non
abbiamo smarrito la fiducia nella solidarietà sociale lanciamo questo
messaggio di socialismo nella libertà, che viene da un’esperienza molto
amara e molto vasta, che però ha dato frutti di serenità interiore e di
speranza, quella speranza indispensabile per affrontare le sfide che abbiamo
davanti."
Margareth Rago
(traduzione dallo spagnolo di
Guido Lagomarsino)