Nestor Makhno nacque il 27 ottobre 1889 a Guliai-Polé, distretto di Alexandrovsk, in Ucraina da contadini poveri. Era alto circa 1,65, aveva numerose ferite in tutto il corpo, colpi di sciabola, di pallottole, una delle quali gli aveva fracassato una caviglia, cosa che lo faceva zoppicare leggermente.
All’età di sette anni lavorava come pastore nel suo villaggio, ad otto frequentò la scuola, a dodici la lascio per sistemarsi come bracciante presso dei kulaki tedeschi, che possedevano numerose fattorie in Ucraina. Anche se a quell’epoca, non professava ancora alcun’idea politica, manifestava già un odio verso gli sfruttatori. Fu con la rivoluzione del 1905 che entrò nelle file degli anarchici dove divenne un militante infaticabile.
Nel 1908 fu condannato all’impiccagione dalle autorità zariste, ma per la sua giovane età la condanna fu commutata in carcere a vita. Scontò la sua pena nel carcere di Butirki, a Mosca, dove attinse le conoscenze storiche e politiche che gli furono poi d’aiuto nella sua azione rivoluzionaria. Durante nove anni di reclusione, restò continuamente ai ferri per cattiva condotta. Fu liberato il 1 marzo 1917, come tutti gli altri detenuti politici, dall’insurrezione del proletariato di Mosca.
Rientrato nel suo villaggio, organizzò libere comuni ed un soviet locale di contadini. Quando gli austro-tedeschi occuparono l’Ucraina, formò battaglioni di contadini e operai, per combattere l’invasore. La borghesia locale, fece mettere una taglia sulla sua testa ed egli dovette nascondersi per qualche tempo. Le autorità militari tedesche e ucraine, bruciarono la casa di sua madre e fucilarono il fratello, invalido di guerra.
Nel settembre e ottobre 1918 ci fu la lotta contro la Petliura, (la petliurovskina era un movimento della borghesia ucraina. I contadini erano arruolati per forza e disertavano spesso per raggiungere Makhno). Petliura vedeva di cattivo occhio l’organizzazione delle comuni libere dei soviet federalisti, e non avendo potuto convincere Makhno del suo errore, incominciò la lotta armata contro di lui.
Da Sud-Est saliva l’armata di Denikin, dal Nord discendeva l’armata dello stato comunista. Per sei mesi fu una lotta accanita, Denikin offriva mezzo milione di rubli per la testa di Makhno. Fu nel 1919 che i bolscevichi apparvero nella regione Makhnovicina. S’ingaggiò allora una lotta ideologica. Makhno vedeva in essa un pericolo per la libertà della regione e pensava che fosse necessario combattere il nemico comune, in questo senso fu realizzata l’unione dell’armata makhnovista e dell’armata rossa. Ma i bolscevichi vollero instaurare il loro regime autoritario arrestando tutti coloro che non volevano sottomettersi. A più riprese tentarono di far assassinare Makhno. Fu scatenata una campagna di calunnie, diretta da Trotsky stesso nel momento in cui il pericolo bianco diveniva immenso, poiché Denikin riceveva rinforzi propio dal settore Makhnovista, con un notevole arrivo di caucasiani.
I bolscevichi aprirono il fronte davanti a Denikin e Makhno si vide circondato. La situazione era tragica, perché i bolscevichi avevano tagliato ogni rifornimento d’armi e sabotavano la difesa della regione. I contadini combattevano con scuri, picche vecchie carabine da caccia, furono quasi tutti massacrati. La battaglia durò più di due mesi, con avanzate dei Makhnovisti e annientamento della controrivoluzione di Denikin. I bolscevichi ritornavano allora in Ucraina e Makhno ricevette da Trotsky l’ordine di partire per il fronte polacco con le sue truppe. Makhno rifiutò e furono messi tutti fuori legge. Nell’arco di nove mesi, più di duecentomila contadini e operai, vennero fatti fucilare da Trotsky e altrettanti furono imprigionati o deportati in Siberia.
Wrangel si presentò nella primavera del 1920. Le truppe di Makhno lottarono per mesi, fino alla sconfitta di Wrangel nel novembre dello stesso anno. Ritornato nel suo villaggio Makhno intraprese il suo lavoro di rieducazione e di organizzazione, ma tutto questo fu spezzato dal nuovo attacco dei bolscevichi.
Il 26 novembre 1920 Guliai-Polé fu circondata; Makhno si trovava con duecento cavalieri. Makhno radunò circa duemila uomini che combatterono come diavoli per rompere l’accerchiamento dell’armata rossa. Galoppò verso il Nord, dove gli operai lo avvisarono che lo attendeva uno sbarramento militare, poi verso l’Ovest. Centinaia di chilometri, tra neve e ghiaccio. Questa lotta impari durò parecchi mesi. Due divisioni di cavalleria delle Divisioni di Cosacchi Rossi si aggiunsero alle armate gettate dai bolscevichi contro Makhno. Era impossibile sfuggire. Tutti decisero di morire insieme.
Makhno ne uscì con onore. Avanzò fino ai confini della Galizia, ripassò il Dnieper, risalì verso Kursk, si trovò fuori del cerchio nemico: il tentativo di cattura della sua armata era fallito. Le divisioni rosse Ucraine si misero subito in marcia per bloccare Makhno. Al grido vivere liberi o morire combattendo, i combattimenti ripresero. Makhno fu colpito da una pallottola che gli attraversò una coscia e un’altra lo ragginse al basso ventre.
Il 16 marzo, restava con Makhno una piccolissima unità. Forze della cavalleria nemica gli si scagliarno contro in un corpo a corpo spaventoso. Makhno che in seguito alle ferite riportate non poteva salir in sella dovette assistere a questo massacro coricato in una carriola.
Cinque mitraglieri del suo villaggio gli dissero: Batko, la tua vita é utile alla nostra causa, questa causa che ci é tanto cara; noi andiamo subito a morire; tu devi vivere. Se rivedrai i nostri parenti dì loro addio da parte nostra.
Lo presero in braccio e lo trasportarono in un carro di contadini che passava, lo abbracciarono e ritornarono alle loro mitragliatrici che si misero a crepitare per impedire ai bolscevichi di passare. Makhno era salvo. All’inizio del mese di agosto del 1921 fu deciso che a causa della gravità delle sue ferite sarebbe partito per l’estero per esser curato seriamente. Il 17 agosto dello stesso anno fu derito altre sei volte; il 19 ci fu uno scontro con la cavalleria rossa accampata lungo il fiume Inguletz.
Makhno era in trappola, perse diciassette dei suoi compagni. Nuova ferita: una pallottola che gli entro dalla nuca per uscire dalla guancia.
Il 28 agosto Makhno passò il Dnieper. Non rivide mai più il suo paese; l’Ucraina fu occupata dall’armata rossa che imprigionò e uccise senza pietà.
Makhno giunse in Rumenia dove fu internato assieme ai suoi compagni. Evase e passò in Polonia. Arrestato e processato, fu assolto. Andò a Danzica, dove fu nuovamente imprigionato. Evase con l’aiuto dei compagni, e si stabilì a Parigi.
In questi ultimi anni scrisse la storia delle sue lotte e della Rivoluzione in Ucraina. Ma non poté terminarla, si arrestò nel 1918. Lavorò per qualche tempo in un’officina , ma molto malato e sofferente per le numerose ferite, condusse a Parigi un’esistenza penosa sia materialmente che moralmente. La sua salute peggiorava rapidamente, ricoverato all’ospedale Ténon, vi morì nel Luglio 1935.