A PROPOSITO DI LIBERTA’
di Camillo Berneri
(...) La concezione che il Martucci ha della libertà è unilaterale. La forza è intesa da lui in un senso meccanico, fisico. La libertà di un uomo verrebbe ad essere come la libertà di un sasso di spostare l'acqua in cui cade o di spezzare il vetro che gli resiste. Verrebbe ad essere, cioè, forza in contrasto con altre forze minori, che le permettono di affermarsi liberamente. La libertà è infatti intesa dal Martucci soltanto come forza di dominio, come forza che ha bisogno, per affermarsi, di distruggere o di spingere indietro altre forze che la ostacolano. È vero che nel contrasto delle volontà che costituisce il fondo della vita la coscienza della propria libertà si identifica con lo sforzo fatto per affermare la propria vita contro la volontà di altri, ma questa idea generale di libertà non è giustificabile da un punto di vista superiore.
La libertà non consiste nel fare quello che si vuole, ma nel sapere quello che si deve fare e nel fare quello che si sa che si deve fare.
Cioè, in parole più chiare, l'uomo libero non è quello che si afferma nella vita senza curarsi di sapere se la sua volontà è diretta bene, ma è l'uomo che cerca nel fondo della propria coscienza la via da seguire e quando l’ha scoperta sa andare lungo essa anche se il proprio interesse, nel senso gretto della parola, non si concilia con l'indirizzo dato alla vita propria.
La volontà di uscire in un uomo che è stanco di stare in casa non c'è vera volontà. È impulso. La vera volontà si afferma quando si agisce in contrasto coi propri desideri contingenti, con gli impulsi del momento.
Se tu dici ad un ubriacone: «Non bere, fa male», egli risponderà: «Lasciami in pace. Non sono libero di far quel che voglio?» Quell’ubriacone scambia per libertà quello che è la schiavitù sua e della sua famiglia. E noi uomini, siamo quasi tutti fratelli dell'ubriacone.
La vera volontà si esercita, dunque, nell'essere padroni di noi. È più facile spezzare la volontà di mille che di noi stessi. Napoleone era schiavo di se stesso più che gli schiavi egizi lo fossero dei loro padroni. La volontà di predominio non forma l'uomo quanto la volontà di dominio su se stessi.
E poi qual è la gloria di dominare gli altri se il fatto stesso che quelli sono dominati dimostra che la forza del dominatore non è che il riflesso dell’altrui debolezza?
(...) Ad un uomo che è buono è inutile domandare che cosa sia il Bene. Il Bene è un’astrazione, ma la bontà è un fatto. E la bontà è una di quelle ragioni che, come diceva il Pascal, la ragione non conosce. L'immoralismo di certi individualisti non è il criticismo etico dei filosofi, bensì la teorizzazione di egoismi insoddisfatti e il ricamo letterario di idee posticce.
(...) Perché scrivere, perché parlare, perché battagliare per insegnare agli altri ad essere egoisti, quando il vero egoista approfitta del non-egoismo degli altri per affermarsi? Come, poi, possiamo considerarlo dei nostri quando egli afferma di voler conquistare una posizione nella vita e di esser pronto a tutto per raggiungere questo fine?
Tra un comune arrivista ed un individualista tipo Martucci non v'è che una differenza: il primo sa conciliare le idee ai fatti, il secondo non sa volere o non può.
Tutti coloro che parlano continuamente di forza, di lotta, di conquista sono quasi sempre deboli, che somigliano all'eroina della Casa di bambola di Ibsen, che vuole la sua libertà e crede di essere forte nel cercare di raggiungerla, mentre nel fatto stesso di cercarla come essa la cerca dimostra tutta la debolezza della sua volontà.
Gli individualisti tipo Martucci sono uomini come noi, forse più deboli di noi, ma che credono di salire in alto dicendosi super-uomini. Mentre per essere tali bisogna lasciar da parte i trampoli dell’autoesaltazione e crearsi una personalità che superi realmente il comune degli uomini.