“Il marxismo e l’estinzione dello Stato”
di Camillo Berneri
pubblicato su Guerra di Classe, Barcellona, il 9.10.1936
"(...) Marx scriveva, nella «Miseria della filosofia»:
«La classe lavoratrice, nel corso del suo sviluppo, sostituirà all'antica
società civile un’associazione che escluderà le classi e i loro antagonismi, e
non ci sarà più potere politico propriamente detto».
Engels, a sua volta, affermava ne «La scienza sovvertita dal signor Eugenio
Duhring»:
«Lo Stato scomparirà inevitabilmente, insieme alle classi. La società, che
riorganizza la produzione sulla base dell'associazione libera di tutti i
produttori, su un piede di uguaglianza, relegherà la macchina governativa al
posto che le si addice: al museo delle antichità, accanto all'arcolaio e alla
scure di bronzo».
Ed Engels non rimandava l'estinzione dello stato ad una fase finale della
civiltà, bensì la presentava come strettamente connessa alla rivoluzione sociale
e da questa inevitabilmente derivante. Egli scriveva, infatti, in un suo
articolo del 1847:
«Tutti i socialisti sono d'accordo nel pensare che lo stato e, con esso,
l'autorità politica, scompariranno in conseguenza della futura rivoluzione
sociale; ciò significa che le funzioni pubbliche perderanno il loro carattere
politico e si trasformeranno in semplici funzioni amministrative, di
sorveglianza degli interessi locali».
(...) E’ difficile discriminare la tendenziosità dalla tendenzialità delle
sopracitate affermazioni, dato che Marx ed Engels avevano a lottare con la forte
corrente proudhoniana e bakuninista e che Lenin, nel 1917, vedeva la necessità
politica di un’alleanza tra i bolscevichi, i socialisti rivoluzionari di
sinistra, influenzati dal massimalismo, e gli anarchici. Mi pare certo,
tuttavia, che pur non escludendo la tendenziosità del modo e del momento di
quelle formulazioni, queste rispondessero a reali tendenze. L'affermazione
dell'estinzione dello Stato è troppo intimamente connessa, troppo
necessariamente derivabile dalla concezione marxista della natura e delle
origini dello Stato, per attribuirle un carattere assolutamente opportunista.
Che cos'è lo stato per Marx e per Engels? Esso è un potere politico in funzione
di conservazione dei privilegi sociali e dello sfruttamento economico.
Nella prefazione alla 3° edizione dell'opera di Marx, «La guerra civile in
Francia», Engels scriveva:
«Secondo la filosofia hegheliana, lo Stato è la realizzazione dell'Idea, cioè,
in linguaggio filosofico, il regno di Dio sulla terra, il dominio in cui si
realizzano o debbono realizzarsi la verità eterna e l'eterna giustizia. Da ciò
quel rispetto superstitizioso dello Stato e di tutto ciò che si riferisce allo
Stato, rispetto che tanto più facilmente si istalla negli spiriti in quanto si è
sin dalla culla abituati a immaginare che gli affari e gli interessi generali di
tutta la società non potrebbero essere regolati in maniera diversa da come si è
fatto fino ad oggi, cioè per opera dello debitamente e dei suoi sott’ordini
debitamente istallati e funzionanti. E si crede di aver già fatto un progresso
veramente audace quando ci si è liberati dalla credenza nella monarchia
ereditaria, per giurare sulla Repubblica democratica. Ma in realtà lo Stato non
è altro che una macchina di oppressione di una classe da parte di un'altra, sia
in una Repubblica democratica che in una monarchia, e il meno che se ne possa
dire è che esso è un flagello che il proletariato eredità della sua lotta per
arrivare al suo dominio di classe, ma di cui dovrà, come ha fatto la Comune, e
nella misura delle possibilità, attenuare gli effetti più fastidiosi, fino al
giorno in cui una generazione cresciuta in una società di uomini liberi ed
uguali potrà sbarazzarsi di ogni fardello di governo».
Marx (nella «Miseria della filosofia») dice che, realizzata l'abolizione delle
classi:
«non ci sarà più potere politico vero e proprio, poiché il potere politico è
appunto l'espressione ufficiale dell'antagonismo esistente nella società
borghese».
Che lo stato si riduca al potere repressivo sul proletariato e al potere
conservatore rispetto alla borghesia, è tesi parziale, sia che si esamini lo
Stato anatomicamente, sia che lo si esamini fisiologicamente. Al governo di
uomini si associa nello Stato, l'amministrazione delle cose: ed è questa seconda
attività che gli assicura il permanere. I governi cambiano. Lo stato resta. E lo
stato non è sempre in funzione di potere borghese: come quando egli impone
leggi, promuove riforme, crea istituzioni in contrasto con gli interessi delle
classi privilegiate e aderenti, invece, agli interessi del proletariato. Lo
Stato, inoltre, non è solo il gendarme, il giudice, il ministro. Egli è anche la
burocrazia, potente quanto, e talvolta più del governo. Lo stato fascista è oggi
in Italia qualche cosa di più complesso di un organo di polizia e di un curatore
di interessi borghesi, perché legato da un cordone ombelicale ad un assieme di
quadri politici e corporativi aventi interessi propri non sempre, e mai
interamente, coincidenti con la classe che ha portato il fascismo al potere e
che la dittatura fascista serve per conservare al potere.
Marx e Engels avevano di fronte a loro la fase borghese dello Stato e Lenin
aveva di fronte a sé lo stato russo in cui il gioco della democrazia era minimo.
Tutte le definizioni marxiste dello Stato danno un'impressione di parzialità; il
quadro dello stato contemporaneo non può entrare nella cornice delle definizioni
tradizionali».
Parziale è pure la teoria formulata da Marx e da Engels sull'origine dello
Stato. Esposta con le parole di Engels, essa suona così:
«Ad un certo punto dello sviluppo economico, che era necessariamente legato alla
scissione della società in classi, l'apparire delle classi fece dello stato una
necessità. Adesso noi ci avviciniamo a gran passi ad un grado dello sviluppo
della produzione in cui non solamente l'esistenza di queste classi ha cessato di
essere una necessità, ma in cui esse divengono un ostacolo positivo alla
produzione. Le classi spariranno altrettanto facilmente come sono sorte. E con
esse sprofonderà inesorabilmente lo stato». («Le origini della famiglia, della
proprietà privata e dello stato»).
Engels ritorna alla filosofia del diritto naturale di Hobbes della quale addotta
la terminologia, non facendo che sostituire alla necessità di domare l'homo
homini lupus, la necessità di regolare il conflitto tra le classi. Lo stato
sarebbe sorto, secondo Marx e secondo Engels, quando già si erano formate le
classi e sarebbe sorto in funzione di organo di classe. Arturo Labriola («Al di
là del capitalismo e del socialismo», Parigi 1931) dice a questo proposito:
«Questi problemi delle "origini" sono sempre molto complicati. Il buon senso
consiglierebbe a gettare su di essi in qualche luce e a rintracciare i materiali
che li riguardano, senza illudersi di poterne mai venire a capo. L'idea di poter
avere una teoria delle "origini" dello Stato è romanzesca. Tutto quello che si
può pretendere è che si possano indicare alcuni elementi che nell'ordine storico
è molto probabile che abbiano concorso a generare il fatto. Ora che il sorgere
delle classi e il sorgere dello Stato debbano avere un rapporto fra di loro è
cosa evidente, specie quando si ricordi la funzione predominante che lo ne ha
avuto nel sorgere del Capitalismo».
Secondo il Labriola lo studio scientifico della genesi del capitalismo:
«conferisce chi un carattere di un realismo veramente insospettato alle tesi
anarchistiche sull’abolizione dello Stato».
E ancora:
«Sembra infatti assai più probabile l'estinzione del capitalismo per effetto
dell'estinzione dello Stato, che non l'estinzione dello Stato per effetto
dell'estinzione del capitalismo».
Questo appare evidente dagli studi degli stessi marxisti quando siano degli
studi seri, come quello di Paul Louis su «Le travail dans le monde romain»
(Parigi 1912). Da questo libro risulta chiaramente che il ceto capitalista
romano si è formato come parassita dello Stato e in quanto protetto dallo Stato.
Dai generali predoni ai governatori, dagli agenti delle imposte alle famiglie
degli argentari, dagli impiegati della dogana ai fornitori dell'esercito, la
borghesia romana si creò mediante la guerra, l'intervenzionismo statale
nell'economia, il fiscalismo statale, ecc., ben più che altrimenti. E se
esaminiamo l'interdipendenza tra lo stato e il capitalismo, vediamo che il
secondo ha largamente approfittato del primo per interessi statali e non
nettamente capitalistici. Tanto è vero questo, che lo sviluppo dello stato
precede lo sviluppo del capitalismo. L'Impero Romano era già un organismo
vastissimo e complesso quando il capitalismo romano era ancora alla gestione
familiare. Paul Louis, non esita a proclamare:
«Il capitalismo antico è nato dalla guerra». I primi capitalisti furono,
infatti, i generali ed i pubblicani. Tutta la storia della formazione delle
fortune è storia nella quale è presente lo Stato. È da questa convinzione che lo
Stato è stato ed è il padre del capitalismo e non soltanto il suo alleato
naturale, che noi deriviamo la convinzione che la distruzione dello Stato è la
conditio sine qua non della distruzione delle classi e della non-rinascita di
esse.
Nel suo saggio su «Lo Stato Moderno», Kropotkin osserva:
«Chiedere a una istituzione che rappresenta uno sviluppo storico che essa
distrugga i privilegi che dovette sviluppare, è come riconoscersi incapaci di
comprendere ciò che significa nella vita delle società uno sviluppo storico. E’
come misconoscere questa regola generale della natura organica: le nuove
funzioni esigono nuovi organi elaborati dalle funzioni stesse».
Arturo Labriola, nel suo libro sopra citato, osserva a sua volta:
«Se lo Stato è potere conservatore rispetto alla classe che lo domina, non è lo
sparire di questa classe che fa sparire lo Stato, ma è lo sparire dello Stato
che è tutta la critica anarchistica, che da questo punto di vista, è molto più
esatta della critica marxistica. Finché lo Stato conserva la classe, la classe
non sparisce. Più lo Stato diventa forte e più diventa forte la classe protetta
dallo Stato, cioè a dire più possente diviene la sua energia vitale e più sicura
la sua esistenza. Ora una classe forte è una classe più fortemente differenziata
dalle altre classi. Nei limiti in cui l'esistenza dello Stato dipende
dall'esistenza delle classi, il fatto medesimo dello Stato - se la teoria
engelsiana è vera - determina l’indefinita esistenza delle classi e quindi di se
stesso come Stato».
Una grande, decisiva conferma dell'esattezza della nostra tesi su lo Stato
generatore del capitalismo è offerta dall'URSS nella quale il socialismo di
stato favorisce il sorgere di nuove classi".