“Abolizione ed estinzione dello stato”
di Camillo Berneri
Guerra di Classe, Barcellona, 24.10.1936
"Mentre noi anarchici vogliamo l'abolizione dello Stato,
mediante la rivoluzione sociale ed il costituirsi di un ordine novo
autonomista-federale, i leninisti vogliono la distruzione dello Stato borghese,
ma vogliono altresì la conquista dello Stato da parte del «proletariato». Lo
«Stato proletario» - ci dicono - è un semi-stato poiché lo Stato integrale è
quello borghese, distrutto dalla rivoluzione sociale. Anche questo semi-stato
morirebbe, secondo i marxisti, di morte naturale.
Questa teoria dell'estinzione dello Stato, che è alla base del libro di Lenin
“Stato e Rivoluzione”, è stata da lui attinta da Engels, che, ne “La scienza
sovvertita dal signor Eugenio Duhring”, dice:
«Il proletariato s’impadronisce della potenza dello Stato e trasforma anzitutto
i mezzi di produzione in proprietà dello Stato. In tal modo esso distrugge se
stesso come proletariato, abolisce tutte le differenze e tutti gli antagonismi
di classe, e in pari tempo, anche lo Stato in quanto Stato.
La società che esisteva e che esiste e che si muoveva attraverso gli antagonismi
di classe, aveva bisogno dello Stato, cioè di una organizzazione della classe
sfruttatrice allo scopo di mantenere le sue condizioni esterne di produzione,
allo scopo, in particolare, di mantenere con la forza la classe sfruttata nelle
condizioni di oppressione volute dal modo di produzione esistente (schiavitù,
servaggio, lavoro salariato). Lo Stato era il rappresentante ufficiale di tutta
la società, la sintesi di essa in un corpo visibile, ma tale era solo nella
misura in cui era lo Stato della classe che, anch'essa, rappresentava a suo
tempo tutta la società: Stato dei cittadini proprietari di schiavi
dell'antichità, Stato della nobiltà feudale nel medioevo, Stato della borghesia
ai nostri giorni. Ma una volta divenuto il rappresentante effettivo di tutta il
la società esso diventa da sé stesso superfluo. Dal momento che non c'è più
alcuna classe sociale da mantenere oppressa; dal momento che sono eliminate,
insieme con la sovranità di classe e la lotta per l'esistenza individuale
determinata dall'antica anarchia della produzione, le collisioni e gli eccessi
che risultavano; da tal momento non c'è più niente da reprimere, e uno speciale
potere di repressione, uno Stato, cessa di essere necessario.
Il primo atto con il quale lo cioè la preso si manifesta realmente come
rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso dei mezzi di
produzione in nome della società è in pari tempo l'ultimo atto proprio dello
Stato. L'intervento dello Stato negli affari della società diventa superfluo in
tutti i campi uno dopo l'altro e poi cessa da sé stesso. Al governo delle
persone si sostituiscono l'amministrazione delle cose e la direzione del
processo di produzione. Lo stato non è «abolito»; esso muore. Sotto questo
aspetto conviene giudicare la parola d'ordine di «Stato libero del popolo», la
frase di agitazione che un tempo ha avuto diritto all'esistenza ma che è, in
ultima analisi, scientificamente insufficiente; ugualmente sotto questo aspetto
la rivendicazione dei cosiddetti anarchici che vogliono che lo stato sia abolito
dall'oggi al domani».
Tra l'oggi-Stato e il domani-Anarchia vi sarebbe il semi-Stato. Lo Stato che
muore è «lo Stato in quanto Stato» ossia lo Stato borghese. È in questo senso
che va presa la frase, che a prima vista pare contraddire la tesi dello Stato
socialista. «Il primo atto con il quale lo Stato si manifesta realmente come
rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso dei mezzi di
produzione in nome della società, è in pari tempo l'ultimo dello stato». Presa
alla lettera ed avulsa dal proprio contesto, questa frase verrebbe a significare
la simultaneità temporale della socializzazione economica e dell'estinzione
dello stato. Così pure, prese alla lettera ed avulse dal contesto, le frasi
relative al proletariato distruggente sette stesso come proletariato nell'atto
di impadronirsi della potenza dello Stato verrebbero a significare la non
necessità dello «Stato proletario». In realtà, Engels, sotto l'influenza dello
«stile dialettico», si esprime infelicemente. Tra l’oggi borghese-statale e il
domani socialista-anarchico Engels riconosce una catena di tempi successivi, nei
quali stato e proletariato permangono. A gettare della luce nell’oscurità...
dialettica è l'accenno finale agli anarchici «che vogliono che lo Stato sia
abolito dall'oggi al domani», ossia che non ammettono il periodo di transizione
nei riguardi dello stato, il cui intervento, secondo Engels, diviene superfluo
«in tutti i campi l'uno dopo l'altro», ossia gradatamente.
Mi pare che la posizione leninista di fronte allo Stato coincida esattamente con
quella assunta da Marx e da Engels, quando si interpreti lo spirito degli
scritti di questi ultimi senza lasciarsi ingannare dall'equivocità di certe
formule.
Lo Stato è, nel pensiero politico marxista-leninista, lo strumento politico
transitorio della socializzazione, transitorio per l'essenza stessa dello Stato,
che quella di un organismo di dominio di una classe sull'altra. Lo stato
socialista, abolendo le classi, si suicida. Marx ed Engels erano dei metafisici
ai quali accadeva di frequente di schematizzare i processi storici per amore di
sistema.
«Il proletariato» che si impadronisce dello Stato, deferendo ad esso tutta la
proprietà dei mezzi di produzione e distruggendo se stesso come proletariato e
lo Stato «in quanto Stato», è una fantasia metafisica, un’ipostasi politica di
astrazioni sociali.
Non è il proletariato russo che si è impadronito della potenza dello Stato bensì
il partito bolscevico, che non ha affatto distrutto il proletariato e che ha
invece creato un capitalismo di stato, una nuova classe borghese, un insieme di
interessi collegati allo Stato bolscevico che tendono a conservarsi conservando
quello Stato.
L'estinzione dello stato è più che mai lontana nell’URSS, dove l'intervenzionismo
statale è sempre più vasto ed oppressivo e dove le classi non sono in
disparizione.
Il programma leninista del 1917 comprendeva questi punti: soppressione della
polizia dell’armata permanente, abolizione della burocrazia professionale,
elezioni a tutte le funzioni e cariche pubbliche, revocabilità di tutti i
funzionari, eguaglianza degli stipendi burocratici con i salari operai, massimo
della democrazia, concorrenza pacifica dei partiti all'interno dei Sovieti,
abrogazione della pena di morte. Non uno solo di questi punti programmatici è
stato realizzato.
Abbiamo nell’URSS un governo, un'oligarchia dittatoriale. L'Ufficio Politico del
Comitato Centrale (19 membri) domina il Partito Comunista russo, che a sua volta
domina l'URSS. Tutti coloro che non sono dei «sudditi» sono tacciati di
controrivoluzionari. La rivoluzione bolscevica ha generato un governo saturnico,
che deporta Rjazanov, fondatore dell'istituto Marx-Engels, mentre sta curando
l'edizione integrale e originale del «Capitale», che condanna a morte Zinoviev,
presidente dell'Internazionale Comunista, Kamenev e molti altri tra i maggiori
esponenti del leninismo, che esclude dal partito, poi esilia, poi espelle
dall'URSS un «duce» come il Trotski che, insomma, infelice contro l'ottanta per
cento dei principali fautori del leninismo.
Nel 1920, Lenin scriveva l'elogio dell'autocritica in seno al Partito Comunista,
ma parlava degli «errori» riconosciuti dal « in nome di partito» una delle
diritto del cittadino di denunciare gli errori, o quelli che a lui sembrano
tali, del partito al governo. Essendo dittatore Lenin, chiunque denunciasse
tempestivamente quegli stessi errori che lo stesso Lenin retrospettivamente
riconosceva, rischiava, o subiva, l'ostracismo, la regione o la morte. Il
sovietismo bolscevico era un’atroce burla anche per Lenin, che vantava la
potenza demiurgica del Comitato Centrale del Partito Comunista russo su tutta
l’URSS dicendo: «Nessuna questione importante, sia d’ordine politico sia
relativa all'organizzazione, è decisa da una istituzione statale della nostra
Repubblica, senza un'istruzione direttrice emanante dal Comitato Centrale del
Partito».
Chi dice «Stato proletario» dice «capitalismo di Stato»; chi dice «dittatura del
proletariato» dice «dittatura del Partito Comunista»; che dice «governo forte»
dice «oligarchia zarista» di politicanti.
Leninisti, trotskisti, bordighisti, centristi non sono divisi che da diverse
concezioni tattiche. Tutti i bolscevichi, a qualunque corrente o frazione essi
appartengano, sono dei fautori della dittatura politica e del socialismo di
Stato. Tutti sono uniti dalla formula: «dittatura del proletariato», equivoca
formula corrispondente al «popolo sovrano» del giacobinismo. Qualunque sia il
giacobinismo, esso è destinato a deviare la rivoluzione sociale. E quando questa
devia, si profila l'ombra di un Bonaparte.
Bisogna essere ciechi per non vedere che il bonapartismo stalinista non è che
l'ombra fattasi vivente del dittatorialismo leninista”.