La fabbrica dei cretini
Intervista di P.F. a Marcello Bernardi

Così Bernardi definiva la famiglia, intervistato da "A" nel 1979. La sua critica radicale mantiene la sua validità. (Ri)leggere per credere.
 

Alcuni l'hanno definito "lo Spock italiano", il più noto pediatra americano, autore di un manuale sulla prima infanzia letto da milioni di famiglie negli Stati Uniti e nel mondo. Ed in effetti Marcello Bernardi è forse il più noto pediatra oggi in Italia: il suo libro Il nuovo bambino, che più che un libro è un manuale, una guida per "tirar su bene" i bambini fin dalla nascita, ha avuto una diffusione di massa. Il suo ultimo libro La maleducazione sessuale, incentrato sulla critica dell'educazione sessuale e dei falsi miti della presunta "liberazione sessuale", ha avuto un'eco minore.
In Italia - afferma Bernardi - non è "normale" che un pediatra, che dovrebbe occuparsi solo dei bambini che hanno mal di pancia o che fanno pipì a letto, si interessi anche dei più generali problemi della società. Francamente, credo che i miei "colleghi" pediatri non si siano nemmeno accorti dell'uscita del mio ultimo libro.

Per le mie idee, per certe mie prese di posizione a volte mi sono sentito dare dell'anarchico. Anche se la cosa non mi dispiace, debbo francamente dire che istintivamente rifiuto qualsiasi catalogazione. Al di là delle etichette, comunque, io sono assolutamente convinto della necessità della libertà quale condizione per il positivo sviluppo della personalità umana. Al bambino, invece, si insegnano subito due cose: 1) che lo stato, la polizia, la famiglia, in definitiva l'Istituzione è indispensabile, a meno che non si voglia tutti finire travolti dall'anarchia (come molti amano definire il caos); 2) che la sua identità di individuo, di bambino, implica di necessità l'Istituzione, tanto che la funzione stessa di un individuo (operaio, impiegato, ecc.) rappresenta la categoria nella quale egli si deve necessariamente inserire. Ciò che gli si vuol fra credere è che, in ogni caso, un padrone è necessario, sia esso il papà, il maestro, il prete, l'ufficiale dell'esercito o il padrone della fabbrica.

Inutile insistere nella critica alla "pedagogia tradizionale": su questo terreno la concordanza di opinioni tra gente di sinistra è ovvia, completa. Ma non sta proprio qui un possibile pericoloso equivoco? Che cosa si nasconde dietro il generale unanimismo a favore di sistemi educativi più liberi? E soprattutto, che significato e che funzione può avere oggi, in questa società, una "pedagogia libertaria"?

 

Libertà obbligatoria?

Io ho l'impressione - risponde Bernardi - che in molti casi ad un'imposizione di destra se ne sia sostituita un'altra di sinistra. Dopo la distruzione di un mito pedagogico di stampo tradizionalista, si è voluto riempire il vuoto (ma quale vuoto, non riesco a capire) con l'imposizione di un altro mito di tipo progressista (si fa per dire, naturalmente). Si è cercato di imporre la "libertà obbligatoria", ma questa non è più libertà.

Anche il vasto e contraddittorio "movimento" delle comuni, cioè il tentativo di spezzare antiche tradizioni di vita famigliare per sperimentare nuove forme di convivenza (e quindi di "educazione"), viene analizzato da Bernardi sotto questa luce critica.

Per lodevoli che possano essere giudicate le intenzioni dei promotori di quegli esperimenti, resta immutato il fatto che il bambino viene pesantemente condizionato dagli adulti: sono loro che vogliono fare la loro "rivoluzione", sono loro che sentono determinati problemi e che tentano di risolverli come meglio credono: il bambino, ancora una volta, non è che un "oggetto" nelle loro mani, il capro espiatorio dei loro problemi. Troppo spesso ci si dimentica che, almeno nei suoi primi due o tre anni di vita, il bambino è un essere rivoluzionario, infinitamente più rivoluzionario degli adulti: dopo con il passare del tempo, sotto il "bombardamento" della famiglia e della società, lo è sempre di meno, le sue difese diventano sempre meno valide finché, coma ha scritto Laing, a 15 anni ci troviamo davanti un cretino, esattamente uguale a noi. Io vorrei, invece, che il bambino potesse evolvere per conto suo.

D'accordo, ma come? In quali strutture?

In nessuna struttura. Assolutamente nessuna.

Chiedo a Bernardi se ritiene possibile una famiglia "diversa", più aperta, non rigidamente strutturata, come è stata "tentata" e anche realizzata in molte esperienze comunitarie. Mi risponde con un drastico "no": a suo avviso la famiglia, cioè quella struttura formata da una figura maschile (che può essere o non essere il padre), che rappresenta un certo tipo di ruolo, da una femminile, che rappresenta un altro ruolo, e dai bambini, questa struttura "famiglia" è di per sé stessa negativa. E va distrutta, sempre e comunque.

Se si vuol cominciare qualcosa di diverso, bisogna svincolarsi da concetti, come quello di famiglia, che sono terribilmente sbagliati. Sia ben chiaro: io non voglio negare che ogni essere umano abbia diritto ad un suo nucleo affettivo, cioè ad avere alcune persone alle quali è legato da rapporti affettivi - ma questo non significa creare una famiglia. Ciò significa semplicemente che alcune persone (quali, non so) stanno insieme perché si amano e si aiutano l'una con l'altra: ma questa, lo ripeto, non è una famiglia. io credo che spesso, dietro a grandi paroloni "progressisti", si nasconda solo la volontà (ed io sono convinto che di volontà si tratta) di non mettere in discussione schemi, abitudini, tradizioni, che in effetti si ha paura di modificare. È difficile, in effetti, sottoporre se stessi ed il proprio operato ad una critica costante: è difficile e richiede una buona dose di volontà, che forse non si può nemmeno pretendere da tutti. Ma resta comunque il fatto che, per cambiare le cose, questa è la strada da percorrere.

 

Il ruolo sociale del bambino

Bernardi insiste nella sua critica all'istituzione famigliare, che giudica una delle fonti principali di oppressione e di sofferenza per un bambino. Riferendosi alla sua esperienza professionale, cita il diverso "tipo" di bambini che riscontra nelle aree urbane (dove la famiglia è davvero famiglia, con il padre, la madre e basta, tutti chiusi tra le quattro mura) ed in campagna (dove invece la famiglia è necessariamente meno ripiegata su se stessa, più numerosa, più "comunità").

I bambini che vivono in realtà familiari chiuse sono i più disgraziati, si può dire che spesso la loro personalità viene "disintegrata" dalla famiglia. Si pensi solo al gran numero di separazioni e di divorzi che avvengono: al bambino costretto fino a quel momento a far perno sulle due sole figure del padre e della madre, vengono tolte le sue certezze; Tutto gli crolla attorno, ed è lui a pagarne più di tutti le conseguenze: molte nevrosi cominciano proprio così.

Il discorso si sposta sul "ruolo sociale" del bambino. Bernardi mette in rilievo che le motivazioni per le quali gli individui (compresi i bambini) agiscono sono sempre di carattere affettivo: è l'amore (per se stessi, per gli altri, ecc.) che spinge gli uomini a fare, istintivamente. Vi sono poi motivazioni "esterne" , indotte dall'ambiente circostante, di carattere puramente economico, redditizio: si fa per i soldi, per il guadagno, per la posizione.

Il bambino - sottolinea il mio interlocutore - conosce solo le prime motivazioni, non concepisce nemmeno alla lontana quelle economiche. Sarà la società a imporgliele, instillandogli il mito del lavoro, della produttività, del guadagno. Il bambino istintivamente gioca, non produce: anche in ciò sta il suo essere radicalmente rivoluzionario. Spesso siamo noi adulti a non comprendere il significato di tutto questo, spingendo il bambino a trovare la sua "normalità" proprio sul terreno delle motivazioni economiche: è la solita storia, siamo sempre noi "adulti sociali" a voler trasformare i più piccoli in essere simili a noi. E così cominciamo a costruire il futuro suddito, schiavo, obbediente, ossequioso.

Inevitabilmente il discorso cade su Fromm, che nel suo best-seller Avere o essere ha sviluppato la tematica qui solo accennata. Bernardi è d'accordo con Fromm e ci tiene a sottolineare la "pericolosità sociale" del gioco dei bambini, che altro non sono che esseri umani nello stadio affettivo (prima cioè di venir condizionati dalle motivazioni economiche).

Il gioco non produce, e qui sta il suo valore rivoluzionario. È per questo che sono sempre stato contrario ai giochi didattici, che vogliono essere giochi produttivi: i "veri giochi", invece, producono solo gioia e felicità. Nient'altro.
E non vi è dubbio - prosegue Bernardi - che dall'infanzia alla morte il gioco più gioco, quello che da più gioia e felicità, è la sessualità: attuandola l'uomo raggiunge l'estasi, che noi chiamiamo orgasmo e che gli antichi definivano "piccola morte". Definizione certamente appropriata, perché nel momento dell'orgasmo - e solo in quello - l'uomo esce da se stesso. La sessualità è dunque il gioco per antonomasia, quindi è anche il gioco che "produce" di meno: anzi, non solo non produce, ma ostacola anche la produzione tanto che naturalmente un operaio non ha alcuna voglia di andare a lavorare (magari alla catena di montaggio) quando sa che in alternativa può andare a letto con la sua ragazza.
Durante il maggio francese venne fuori lo slogan "abbraccia la tua ragazza ma non mollare il fucile": io sono d'accordo, ma dobbiamo renderci conto delle difficoltà connesse con la traduzione in pratica di quello slogan. Certo, in linea di massima non dobbiamo "mollare il fucile", cioè abbandonare il terreno dello scontro: ma non possiamo nemmeno passare tutta la vita con il fucile in mano, sempre in prima fila nella lotta per l'altrui felicità. Noi vogliamo lottare per la felicità di tutta l'umanità, e sta bene: ma nella stessa misura dobbiamo volere la nostra felicità, la realizzazione della nostra sessualità. E questo la società non potrà mai tollerarlo, perché così vengono scardinate le fondamenta stesse sulle quali si basa l'attuale organizzazione sociale.

 

 

 Liberazione dalla sessualità

Quando si affronta in questi termini la questione sessuale, per riaffermarne l'importanza ed anche la "centralità" sia al giorno d'oggi sia nell'ambito di un progetto rivoluzionario, Wilhelm Reich salta sempre in ballo. Il suo pensiero e le sue attività, pur così vari, contraddittori e spesso discutibili, costituiscono indubbiamente un punto di riferimento fondamentale, con il quale bisogna ancora oggi fare i conti. Bernardi ricorda di essere stato tacciato più volte di essere un reichiano (oltre che un anarchico) non a torto: dichiara infatti di condividere in pieno l'impostazione generale data da Reich alla questione sessuale. Tralasciando dunque queste linee generali, qual'è l'opinione del mio interlocutore sull'educazione sessuale, questa nuova materia che in molti Paesi stranieri da tempo s'è imposta come normale materia d'insegnamento nelle scuole e che, grazie alla spinta dei "progressisti" sta facendo capolino anche da noi?

L'educazione sessuale - risponde Bernardi - è assolutamente antipedagogica: è l'antibiotico che la società usa per distruggere il geme della sessualità. Così come è progettata o attuata oggi, infatti, essa consiste in due operazioni: 1) dare delle informazioni così freddamente informative da essere ripugnanti (mi ricorderò sempre di quel bambino, mio paziente, che dopo aver assistito ad lacune lezioni di educazione sessuale, venne da me e mi chiese se il sesso era poi davvero così brutto come gliel'avevano presentato); 2) fornire delle norme di comportamento su quel che si deve e quel che non si deve fare. Prima ti dicono "il sesso è così" e te lo presentano in modo che ti faccia schifo, poi ti dicono "anche se fa schifo, puoi adoperarlo, però in questo modo". Io mi chiedo se ciò possa esser chiamato educazione sessuale.

E allora cos'è per Lei l'educazione sessuale "vera"? O meglio, è auspicabile e possibile un'educazione sessuale "diversa"? O non sarebbe forse meglio impegnarsi solo a garantire il massimo di libertà affinché ognuno possa sperimentare in piena libertà e trovare così nella pratica il suo approccio alla sessualità?

Indubbiamente, è così e non potrebbe essere che così. Secondo me è possibile solo una liberazione totale della sessualità, che sicuramente si scontrerà con il mondo in cui viviamo. Certo, questo significa anche che i bambini si troveranno ad avere un impatto più "duro" con la realtà circostante, perché lasciati privi di tutte quelle regole e norme di comportamento che oggigiorno vengono loro inculcate. Ma a me, francamente, questa storia secondo cui dovremmo essere noi adulti a risolvere tutti i problemi dei bambini, non piace e non è mai piaciuta. Parliamoci chiaro: ai bambini si può dire tutto e si deve dire tutto, naturalmente dietro loro richiesta. Nemmeno in questo caso bisogna intervenire autoritariamente, costringendoli a sapere cose che non chiedono. Ma quando chiedono, bisogna rispondere loro senza reticenze: si può spiegare benissimo che cosa sia la pederastia ad un bambino di tre anni, così come si può spiegare benissimo cos'è un vibratore ad una bambina di due anni e mezzo. Il bambino recepisce queste informazioni come tali, senza giudicare se è una brutta cosa o no: il bambino infatti è (e abbiamo visto che col passare del tempo lo diventa sempre meno) libero dai pregiudizi, dai tabù, dalle inibizioni che abbiamo noi adulti.
Noi non dobbiamo condizionarlo con tutto ciò: il nostro unico compito è quello di dargli la libertà di essere un uomo, e basta. Non dobbiamo "programmare" la risoluzione dei suoi problemi presenti e futuri: deve essere lui stesso a farlo, a poterlo fare, in piena libertà.

 P.F.
(tratto da "A" 70 dicembre 1978 - gennaio 1979)

 

 

Marcello Bernardi è certamente stato il più famoso pediatra italiano. Il suo libro Il nuovo bambino ha venduto ben oltre il mezzo milione di copie. Nato nel 1922 a Rovereto, si è trasferito a Milano nel 1934, dove ha svolto la sua attività professionale. Nelle Conversazioni con Marcello Bernardi. Il libertario intollerante (Elèuthera, Milano 1996, pagg. 152, lire 20.000) con l'amico Roberto Denti - che ha fondato con la moglie Gianna, nel 1972, la Libreria dei Ragazzi di Milano, la prima del genere in Europa - Bernardi parla, del tutto prevedibilmente, di figli e genitori, di scuola e di educazione sessuale, ma anche di religione, di fiabe, di potere... Incalzato da Denti a ripensare il già scritto, a dire il non detto, a scoprirsi più di quanto amerebbe la sua garbata scontrosità, Bernardi ci dà un bellissimo autoritratto d'intellettuale aperto e spigoloso, appassionatamente di parte: dalla parte dei bambini e dei ragazzi. E della loro libertà.