dal sito
Contropotere
Giorgio Sacchetti
Il 'Bollettino delle Ricerche' del ministero dell'interno,
1932-'37, registra per alcune regioni e per alcuni anni (ad es. Toscana 1933
e '34) gli anarchici al primo posto per numero di ricercati, dove
generalmente erano secondi soltanto ai comunisti e sempre prima degli altri
raggruppamenti antifascisti. "Sempre stando alle indicazioni delle carte di
polizia - scrive Cerrito - generalmente propense a classificare come
comunisti anche gli anarchici inseriti direttamente nelle organizzazioni
comuniste o collegati indirettamente con le medesime, con elementi comunisti
o ritenuti comunque tali per il loro definirsi comunisti-anarchici, nel
1932-'37, numericamente gli anarchici e i comunisti si equivalevano".
Al confino la ribellione è una costante. A Ponza nel 1933, in 152 protestano
contro i soprusi fascisti e numerosi anarchici vengono per questo condannati
(Failla, Grossuti, Bidoli, Dettori e molti altri). A Ustica l'anarchico
Arturo Messinese prende a schiaffi il direttore della colonia che voleva
obbligarlo al saluto romano.
Molto numerosi sono gli anarchici costretti all'esilio, soprattutto in
Francia. Fra gli esponenti più conosciuti: Luigi Fabbri, Ugo Fedeli, Armando
Borghi, Alberto Meschi, Camillo Berneri. E in Francia prosegue lo scontro
violento per difendere l'ambiente dell'emigrazione dalle infiltrazioni
fasciste, ma si partecipa anche alle lotte operaie. Negli attentati cadono
Nicola Bonservizi, segretario del Fascio di Parigi, Carlo Nardini, vice
console, don Cesare Cavaradossi, sacerdote e funzionario del consolato.
Alcuni anarchici, desiderosi di rovesciare il fascismo in Italia attraverso
un'immediata insurrezione, rimarranno invischiati nella provocazione ordita
da Ricciotti Garibaldi. Questi, conosciutissimo per aver organizzato in
guerra il corpo volontari italiani delle Argonne, aveva infatti progettato
una spedizione armata in Italia coinvolgendo molti fuoriusciti. L'impresa
però si era subito rivelata come una montatura dei servizi segreti di
Mussolini.
Ma la storia dell'anarchismo italiano esule in Francia traspare anche dalla
consistenza di periodici e numeri unici che esso edita oltralpe a partire
dal 1923 fino al 1938, con code anche nel dopoguerra. Sono ben 58 le testate
anarchiche, stampate in Francia in lingua italiana, reperite da Leonardo
Bettini. La periodicità è, ovviamente, varia (raramente settimanale) ed
irregolare in alcuni casi. Tralasciando i temi tradizionali e 'storici'
della propaganda anarchica e le questioni organizzative del movimento (che
sono comunque presenti), preme segnalare alcuni dei fogli 'specializzati' e
rivolti maggiormente ai temi specifici dell'antifascismo: "La Voce del
Profugo", direttore Meschi, giornale antifascista e di propaganda sindacale
classista; "Campane a stormo", edito dopo l'assassinio di Matteotti a cura
del Comitato italiano d'azione e di propaganda antifascista e alla cui
redazione partecipano anche socialisti e repubblicani; il mensile di
Marsiglia "Non molliamo"; "Lotta anarchica" del 1930-'31 - sottotitolo: Per
l'insurrezione armata contro il fascismo -, portavoce dell'Ucapi; la rivista
"La Lotta Umana". L'emigrazione anarchica italiana è attiva e presente, in
misura minore, anche in Belgio (con stampa e iniziative pubbliche), in
Inghilterra, in Svizzera. In quest'ultimo paese però, dalle colonne del
'Risveglio' ci si esprime contro qualsiasi ventilata ipotesi frontista e di
coordinamento unico della lotta: "I gruppi, senza confondersi e seguendo
ciascuno il proprio cammino, possono convergere tutti contro il fascismo
[...] L'azione insurrezionale deve partire dai più diversi punti della
periferia e non da un centro, quasi sempre esitante e ritardatario". E' una
posizione questa ripresa nell'emigrazione americana, particolarmente da
Armando Borghi, già segretario generale dell'Usi, e da "L'Adunata dei
Refrattari", foglio settimanale (poi quindicinale), pubblicato a New York
ininterrottamente dal 1922 al 1971. L'emigrazione degli anarchici italiani
negli Stati Uniti, pur costellata di aspre polemiche interne, ritrova
l'unità d'azione in iniziative come la campagna pro Sacco e Vanzetti, il
sostegno alla lotta cospirativa contro il fascismo in Italia, il soccorso ai
fuoriusciti.
Nel 1934 il movimento in esilio in Francia si divide fra 'anarchici
indipendenti', organizzati in Federazione, e quelli favorevoli invece o ad
un avvicinamento alla Concentrazione antifascista o ad un'adesione al Fronte
Unico. La questione resterà aperta per lungo tempo. Il Soccorso Anarchico
alle vittime politiche ed alle loro famiglie moltiplica intanto gli sforzi.
Il ministero della giustizia informa sugli aiuti che, sebbene talvolta
soggetti a sequestro, puntualmente giungono all'indirizzo dei detenuti,
perfino ai 'banditi' come Santo Pollastro e Giuseppe De Luisi. I "soliti
manifestini anarchici" vengono rinvenuti ancora in treni provenienti
d'oltralpe, in Val d'Aosta e a Torino. Si tratta questa volta di un appello
intestato "Gli anarchici ai lavoratori". E' l'ennesimo invito a lavorare per
la rivoluzione espropriatrice anticapitalista contro ogni genere di
dittatura, sia pure bolscevica, e contro il politicantismo socialista, per
andare - si dice - "oltre la democrazia".
Espulso dall'Uruguay rientra nel frattempo in Italia Ugo Fedeli che,
scontati alcuni mesi di carcere, si stabilisce a Milano dove "riprende la
sua attività politica non appariscente", confermandosi ancora come militante
di prima fila, nei contatti soprattutto con le strutture operative del
Soccorso anarchico in Sicilia ed in Francia. Da Tunisi, nell'arco di pochi
mesi giungono per posta a decine di recapiti nelle province di Palermo,
Trapani e in Sardegna altrettanti plichi di manifestini, in parte
intercettati dalla polizia, intitolati "Abbozzo di proclama al popolo
italiano" e firmati: Gli Anarchici. La sostanza del contenuto è un richiamo
all'insurrezione in quanto si reputa che il fascismo potrà cadere solo
attraverso un atto di forza. Una volta rovesciato il regime - si precisa - i
contadini dovranno occupare le terre, gli operai le fabbriche, quindi
"ridarsi alla quotidiana fatica, ma col fucile a portata di mano".
L'attivismo sfrenato delle forze di polizia e l'esigenza, che non sempre può
essere soddisfatta, dei risultati portano talvolta a situazioni comiche
paradossali, brutti scherzi probabilmente giocati dagli stessi anarchici
braccati. Come quando viene diramato a tutte le prefetture del Regno un
avviso di ricerca per un anarchico abruzzese "ignorante" dall'improbabile
nome di 'Mannaggia', o ci si accanisce contro una fantomatica "cellula
toscana del Lilli". Si dà anche molto credito (in base alle nuove direttive
impartite da Mussolini all'Ovra) agli informatori, specie se ex-anarchici
come nel caso di tale Giuseppe Guelfi da Massa. Questi nell'aprile 1934
promette di far smascherare un comitato nazionale di agitazione anarchica
con sede in Livorno, diretta emanazione della Concentrazione antifascista
parigina; due mesi dopo vengono così eseguite in quella città in
contemporanea 23 perquisizioni ad altrettante persone da lui indicate -
tutti amici di Consani - ma l'esito è negativo. Allo stesso modo fallisce il
tentativo dell'Ovra di inserirsi, usando il nome di Schicchi, nella
corrispondenza del Soccorso anarchico internazionale.
La questione, divenuta annosa, del fronte unico contro il fascismo e, più in
generale, delle alleanze nel periodo di transizione, viene definita a
Parigi, nel 1935, in un "Convegno d'intesa degli anarchici italiani emigrati
in Francia, Belgio e Svizzera" a cui partecipa lo stato maggiore
dell'anarchismo italiano con Camillo Berneri, Enzo Fantozzi, Umberto
Marzocchi ed altri. "Distruggere l'impalcatura dello stato fascista - è
l'obiettivo contingente - ed impedire che domani, dietro le spalle di un
governo provvisorio pseudorivoluzionario, si affermi un governo di
restaurazione demo-social-liberale o una dittatura bolscevica". Le
risoluzioni del convegno prevedono la possibilità di una "libera intesa" con
Giustizia e Libertà, sindacalisti e repubblicani di sinistra nel segno forse
delle comuni matrici teoriche ispirate a laicismo, insurrezionalismo,
pluralismo, autonomia del movimento operaio, federalismo. Esse sanciscono
anche la formalizzazione della rottura ormai nei fatti con i comunisti
(esclusi i gruppi dissidenti) e con i socialisti (esclusa la minoranza
massimalista).
A seguito del convegno parigino sono poste in essere proposte immediate di
azioni quali: la costituzione di un comitato libertario che procuri le armi
ai volontari che dovranno rientrare in patria a condurre la lotta armata
contro il fascismo; la presa di contatto diretta e gli accordi definitivi
con i compagni dell'interno; la redazione di manifestini contro la guerra
d'Etiopia peraltro già sollecitati dall'Italia.
Nel medesimo periodo vengono rinvenuti (ma altri arriveranno a destinazione)
ancora in un treno proveniente dalla Francia 14 involti contenenti tre tipi
di manifestini: "Dichiarazione degli anarchici al proletariato italiano";
"Contro la guerra ed il fascismo"; "Alle forze rivoluzionarie italiane". Il
testo di quest'ultimo in particolare - firmato: L'Intesa Rivoluzionaria
Italiana - non privo di riferimenti all'anarchismo storico, richiama
comunque direttamente per il linguaggio usato e per le conclusioni al
movimento di 'G.L.'. Gli altri due tipi di manifestini - a firma: Gli
Anarchici proscritti - ricalcano invece posizioni politiche già note e cioè
che l'abbattimento del fascismo sarà inseparabile dalla fine del regime
capitalista e dello Stato, e quindi che la successione, il passaggio alle
forme repubblica, costituente e dittatura proletaria sono nient'altro che un
inganno.
Le notizie che arrivano dalla Spagna nel corso del 1936 infiammano gli
animi. La rivolta popolare contro i generali fascisti spinge molti fra gli
anarchici italiani residenti in Francia ad accorrere a Barcellona e ad
aggregarsi nelle colonne della CNT-FAI. Con la parola d'ordine "oggi in
Spagna, domani in Italia" si formerà di lì a poco, con il concorso di
giellisti e repubblicani, la Colonna italiana, sezione Ascaso della CNT-FAI,
sulla base di accordi sottoscritti da Berneri, Mario Angeloni e Carlo
Rosselli, ciascuno per la sua parte politica. La contraddizione fra guerra
antifascista e rivoluzione sociale e, soprattutto il rifiuto della
militarizzazione da parte degli anarchici italiani porteranno allo
scioglimento della stessa colonna. L'epilogo tragico si consuma nel
contrasto irreparabile fra alcune delle forze antifasciste in campo, in
particolare con i 'governativi' comunisti staliniani che si rendono
responsabili degli assassinii di Berneri e Barbieri.
In Italia intanto l'Ovra registra informali 'riunioni di combriccole
anarchiche' fra operai delle fabbriche del nord, nelle osterie dei quartieri
popolari nelle grandi città, e incontri di anarchici conosciuti con
rappresentanti di 'G.L.' e del partito repubblicano, continua ad annotare
gli spostamenti poco chiari degli elementi sospetti.
Per il 1938 i prefetti di Mussolini segnalano una perdurante presenza
organizzativa del movimento specie in Sicilia e in Toscana, ad esempio a
Piombino, ed inoltre che "esistono in Italia, e funzionano in collegamento
tra loro gruppi anarchici in specie a Torino, Trieste, Livorno, Roma e
Genova; la fonte principale degli aiuti finanziari parrebbe l'America del
Nord".
Gli ultimi terribili anni del regime fascista, i primi della nuova guerra
mondiale, vedono gli anarchici italiani prostrati a causa della gravissima
sconfitta subita in Spagna. In Francia sono in parte ridimensionate le
vecchie strutture dell'esilio antifascista ora maggiormente orientate al
soccorso del popolo iberico. Nell'interno in molte località, in seguito alle
recenti ondate di arresti e invii al confino, le attività cospirative e di
propaganda hanno subìto un rallentamento e soprattutto sono tagliati in gran
parte i contatti con l'estero ed a livello nazionale. Il capo della polizia
valuta per il 1939 come ancora vigenti pochissimi canali di comunicazione
anarchica con l'estero: dalla provincia di Belluno con Ginevra; da Firenze e
dal Valdarno con Marsiglia; dalla provincia di Livorno con New York e con la
Francia; da Roma con Parigi.
Al momento dello scoppio della guerra il Comitato Internazionale di Difesa
Anarchica con sede a Bruxelles, composto da italiani, francesi, spagnoli,
tedeschi e belgi, pubblica uno speciale Bollettino plurilingue destinato
anche alla diffusione in Italia. Il contenuto del foglio, la cui redazione è
attribuibile a Mario Mantovani, risulta di impostazione prettamente
pacifista e di 'equidistanza' tra gli stati belligeranti. Esso si
differenzia da ogni posizione di adesione pura e semplice alla guerra
antinazista espressa invece da alcuni settori dell'anarchismo
internazionale, specie nell'AIT. Su ciò pesano evidentemente valutazioni a
caldo sul patto di non aggressione russo-tedesco appena stipulato. La parola
d'ordine è sempre e comunque ancora quella di opporre l'insurrezione degli
sfruttati alla guerra degli sfruttatori.
Nel giugno 1942 un convegno clandestino che si tiene a
Genova indica al movimento un percorso di liberazione che esplicitamente
prevede una prima tappa intermedia, e infatti così si esprime la mozione che
ne scaturisce:
"Essendo il fascismo il primo caposaldo da demolire e ogni colpo da chiunque
tirato sarebbe sempre desiderato, in questa azione ci troveremo gomito a
gomito con l'arma in pugno anche con quegli elementi le cui finalità sono in
contrasto con le nostre o sono indefinite [...] Ma, caduto il primo
caposaldo, cioè il fascismo, ogni corrente rivoluzionaria avanzerà le
proprie rivendicazioni [...] Perciò nostro preciso compito crediamo sia
questo: lavorare contro il fascismo sì, con chiunque: ma esigere da chiunque
il diritto all'affermazione dei nostri sacrosanti principi libertari".
Risulta chiaro fin da subito quindi come gli intenti della lotta siano
fermamente rivoluzionari, ma anche come si tenga in considerazione e
facilmente si profetizzi che molti fra i possibili compagni di strada
dell'oggi potranno domani mutarsi in avversari. Per questo stesso periodo le
fonti di polizia riferiscono che, da parte di anarchici non meglio precisati
residenti in Piemonte, in Lombardia e nelle Marche, viene fondato un
movimento antimilitarista denominato "PERDERE PER VINCERE" dedito alla
diffusione di stampa clandestina e sovvenzionato dal noto Luigi Bertoni di
Ginevra.
Ma la spinta decisiva si può dire che giunga dai confinati. E' un nutrito
gruppo di anarchici quello che si trova ancora relegato nelle isole,
soprattutto a Ventotene. Si tratta per lo più di militanti ormai temprati
dalle battaglie, in molti casi già estradati dalla Francia (dal campo di
concentramento di Vernet d'Ariège), paese nel quale erano a suo tempo
rientrati dopo aver partecipato alla guerra di Spagna. Nelle famose 'mense',
strutture logistiche del confino formate secondo criteri di affinità e
appartenenza politica, si discute intanto animatamente dei programmi e delle
prospettive unitarie della lotta antifascista. Ad esempio il direttivo
comunista di Ventotene, alla vigilia della caduta di Mussolini, vota un
documento che, mentre prefigura e delimita in modo preciso il campo delle
alleanze, indica contemporaneamente gli altri nemici da battere oltre ai
fascisti e lancia la parola d'ordine della "Lotta senza quartiere contro i
nemici dell'unità proletaria: nel Partito socialista, Modigliani e Tasca,
nel massimalismo gli antisovietici e anticomunisti, negli anarchici gli
anticomunisti". Invece fra i componenti della numerosa colonia degli
anarchici, seconda per numero in quell'isola popolata da circa ottocento
confinati, in una assemblea plenaria si cerca piuttosto di sanare i
contrasti annosi fra compagni del movimento, di rilanciare la lotta operaia,
di riallacciarsi a quella pratica dell'unità proletaria già sperimentata in
epoca prefascista.
Intanto nel meridione appare significativo quanto si verifica a Cosenza dove
già nell'ottobre 1942 gli anarchici fondano un 'Comitato provinciale del
Fronte unico nazionale per la libertà'.
Dopo il convegno clandestino di Genova si infittisce ulteriormente la rete
dei contatti fra i piccoli gruppi informali già esistenti un po' ovunque e
le individualità in particolare nell'Italia centrale. L'artefice principale
di tutto questo lavorìo è il vecchio Binazzi di Torre del Lago, già
redattore a La Spezia del settimanale "Il Libertario"; il primo importante
risultato conseguito sul piano organizzativo è la convocazione di una serie
di convegni clandestini interregionali che si tengono tutti a Firenze;
questo mentre vivi sono gli entusiasmi per le notizie, fornite dalla stampa
clandestina, sui primi scioperi operai nelle fabbriche del nord. Il 16
maggio 1943, nell'abitazione del fornaio Augusto Boccone, si tiene la prima
di queste riunioni che formalmente costituisce la Federazione Comunista
Anarchica Italiana. Sono presenti delegati provenienti da Bologna, Faenza,
Genova, La Spezia, Livorno, Firenze, Torre del Lago, mentre avevano inviato
la loro adesione i gruppi di Carrara e Pistoia. Vengono così stampate a cura
del tipografo Lato Latini, e diffuse nelle varie località, mille copie di un
manifestino contenente un appello ai lavoratori ed il programma minimo della
neocostituita federazione.
In esso si ribadiscono i punti cardine sui quali incentrare la lotta
rivoluzionaria: rifiuto della guerra in quanto prodotto del sistema
capitalistico; appoggio ad ogni forma di opposizione al regime nell'ambito
di un antifascismo intransigente; per la libertà di pensiero, di stampa, di
associazione e anche contro ogni forma possibile di dittatura rivoluzionaria
transitoria; contro la monarchia e per la costituzione di "libere
federazioni di comuni, autonomi, composte di liberi produttori".
Certamente si pone anche la questione dei rapporti con il Pci, la cui
organizzazione clandestina dimostra peraltro grande efficienza e
penetrazione nelle masse. Così, sempre a Firenze, si tiene, poco dopo
l'uscita pubblica di questo programma minimo, un incontro segreto fra una
delegazione ristretta di esponenti anarchici e una del Pci. Non si hanno
notizie precise sugli argomenti all'odg per questo inusuale rendez-vous, se
non che il risultato "fu un fiasco".
La caduta del fascismo, l'avvento della nuova dittatura militare di Pietro
Badoglio con il 25 luglio, ed il suo noto proclama agli italiani sulla
guerra che continua, con l'avvertenza perentoria alla sinistra
rivoluzionaria che "chiunque si illuda di turbare l'ordine pubblico, sarà
inesorabilmente colpito", fanno ulteriormente surriscaldare il clima di
attesa impaziente fra i confinati. La così detta 'storia dei 45 giorni',
iniziandosi con il coinvolgimento in ambito governativo di un comitato delle
opposizioni antifasciste, vede per forza di cose la parziale risoluzione
della questione confino. Il capo della polizia Senise invia un dispaccio
urgente a tutte le direzioni delle colonie: "Prego disporre subito
scarcerazione prevenuti disposizione autorità PS responsabili attività
politiche escluse quelle riferentesi comunismo e anarchia". I primi a
partire da Ventotene (dove è direttore Marcello Guida, futuro questore di
Milano nel 1969) dopo la compilazione delle liste distinte per gradi di
pericolosità politica, sono gli 'antifascisti democratici' e quelli di
'G.L.', dopo i socialisti, infine i comunisti. Restano alla fine nell'isola
circa 200 confinati politici fra anarchici e cittadini italiani di origine
slovena o croata. Ma il dispaccio ministeriale che dispone la liberazione
anche di questi ultimi coatti giunge quando questi sono già stati ormai
avviati al campo di concentramento di Renicci d'Anghiari (Arezzo) - uno dei
peggiori d'Italia sia per il numero di internati (in genere prigionieri di
guerra slavi) che per i comportamenti del personale di sorveglianza - ove
giungono dopo varie peripezie il giorno 23 agosto. A questo punto gli
anarchici sono rimasti in sessanta circa. L'8 settembre i prigionieri
chiedono in massa le armi per opporsi all'occupazione tedesca e per tutto il
giorno seguente si organizzano comizi nei vari settori del campo. Nella
rivolta rimane ferito Alfonso Failla. La via della fuga di massa da Renicci,
con i tedeschi alle porte, è dunque aperta da questo episodio di ribellione.
A Firenze intanto, nella clandestinità, rivede la luce "Umanità Nova" già
soppresso dal fascismo, tiratura iniziale 1800 copie, destinata a
quadruplicarsi nei due anni successivi. Il primo numero esordisce con
l'editoriale: "Salute a Voi, o compagni d'Italia e di tutti i paesi; noi,
dopo un lungo e forzato silenzio, riprendiamo con immutata fede il nostro
posto di battaglia per la liberazione di tutti gli oppressi".
Per tutto il 1944 gli anarchici d'Italia, pur nelle differenti situazioni
locali e talvolta in condizioni di estrema debolezza, impegnati nel
movimento partigiano, caratterizzeranno la loro azione nel senso
dell'antifascismo intransigente e della preparazione insurrezionale, della
ricerca anche di programmi da attuare nel concreto per la fase di
transizione. Si pubblica così un nuovo 'programma minimo' che denota,
sull'onda della impostazione berneriana del 1935, importanti punti di
contiguità con il filone azionista-repubblicano e liberalsocialista. Non
mancheranno comunque gli appelli "ai socialisti onesti" ed alla
collaborazione fattiva con la base del Pci.
La proposta anarchica del 'Fronte Unico dei Lavoratori' si inserisce nei
contesti diversificati della lotta armata e della criticata esperienza dei
CLN, della riorganizzazione del movimento operaio a sud e nelle zone
liberate, innescando però non poche contraddizioni. Ci si oppone comunque,
dentro la Confederazione Generale del Lavoro, al nuovo totalitarismo
sindacale dominato dai partiti. Si cercano anche effimere alleanze con i
settori della dissidenza comunista come nel caso della fondazione a Milano
nel 1944 della Lega dei Consigli Rivoluzionari. Ma i nemici più convinti di
qualsiasi possibile versione del Fronte Unico rivoluzionario dei lavoratori
sono gli Alleati i quali, tramite connivenze ad ogni livello, non esitano a
fare abbondante uso di sistemi repressivi giungendo fino all'eliminazione
fisica di quadri scomodi della Resistenza, come nel caso degli anarchici
piacentini Canzi e Fornasari.
La fine del regime mussoliniano coincide nel meridione con la rinascita e lo
sviluppo di quel filone socialista-libertario popolare e contadino rimasto
allo stato di latenza negli anni del fascismo. Per gli anarchici che si
trovano nel Regno del Sud si tratta di combattere una vera e propria guerra
su due fronti e non solo dunque contro i nazifascisti, per la libertà di
stampa e di organizzazione negata dagli eserciti 'liberatori' delle grandi
nazioni democratiche.
Alla vigilia dell'insurrezione di aprile i partigiani anarchici lanciano,
dalla Genova dei portuali, l'ultimo appello al popolo, mentre ancora da
Firenze "Umanità Nova" ripubblica il 'programma minimo'.
La Resistenza si sviluppa come è noto in quei territori dell'Italia centro
settentrionale rimasti in mano tedesca e costituenti la Repubblica Sociale
Italiana. Gli anarchici partecipano alla lotta armata in maniera cospicua
quanto a tributo di uomini e di sangue, ma subiscono d'altro canto
totalmente l'egemonia delle altre forze della sinistra. Talvolta militano in
proprie specifiche formazioni partigiane, ma più spesso si trovano
inquadrati nelle "Garibaldi", nelle "Matteotti"o in G.L.
A Roma gli anarchici sono presenti in particolare nella formazione comandata
dal repubblicano Vincenzo Baldazzi, personaggio noto per la sua antica
amicizia per Malatesta. Fra i caduti: Aldo Eluisi alle Fosse Ardeatine;
Rizieri Fantini, fucilato a Forte Bravetta; Alberto Di Giacomo detto 'Moro'
e Giovanni Gallinella deportati a Mathausen senza ritorno; Ettore Dore (di
origine sarda, già combattente della colonna Ascaso in Spagna) rimasto
ucciso durante una missione oltre le linee.
Nelle Marche gli anarchici militano nelle differenti formazioni partigiane
presenti ad Ancona, Fermo, Sassoferrato e a Macerata dove cade Alfonso
Pettinari, già confinato, commissario politico in una brigata 'Garibaldi'.
Piombino operaia, centro siderurgico con una notevole tradizione libertaria
e sindacalista rivoluzionaria, è la protagonista di una sommossa popolare
contro i nazifascisti già il 10 settembre 1943. Fra i protagonisti
dell'insurrezione Egidio Fossi, Renato Ghignoli e Adriano Vanni;
quest'ultimo attivo poi nella resistenza in Maremma.
A Livorno gli anarchici sono tra i primi ad impadronirsi delle armi
custodite nelle caserme e nell'Accademia navale di Antignano al fine di
rifornire le bande partigiane. Inquadrati nei GAP e nella Divisione
Garibaldi partecipano ad operazioni di guerriglia nelle province di Pisa,
Livorno e in Maremma. Nell'opera di liberazione dei rastrellati e carcerati
si distinguono fra gli altri Virgilio Antonelli, a sua volta già confinato
ed internato dal 1926 al 1941 quasi ininterrottamente, e Giovanni Biagini.
Consistente e determinante l'apporto libertario nella resistenza apuana che
qui assume anche le caratteristiche di vera e propria guerra sociale. Sono
attive nella zona di Carrara formazioni partigiane libertarie,
complessivamente composte da oltre un migliaio di uomini, denominate:
"G.Lucetti", "Lucetti bis", "M.Schirru", "Garibaldi Lunense", "Elio", SAP
"R.Macchiarini", SAP-FAI. Dopo l'8 settembre un gruppo di anarchici fra cui
Romualdo Del Papa guidano l'assalto alla caserma Dogali e spingono gli
alpini a disertare e ad aderire alla lotta partigiana. Nasce così la
"Lucetti" comandata da Ugo Mazzucchelli e che agisce nell'ambito della
BrigataApuana. Alla fine del 1944 lo stesso Mazzucchelli, a seguito di un
rastrellamento che costa la vita a sei dei suoi uomini, ripara in Lucchesia
salvo poi rientrare prima dell'arrivo degli alleati a liberare Carrara con
la sua formazione "Schirru". Fra i partigiani anarchici più conosciuti vi
sono inoltre il comandante Elio Wochievich, Venturelli Perissino, Renato
Macchiarini, il giovanissimo Goliardo Fiaschi, Onofrio Lodovici, Manrico
Gemignani, i figli di Mazzucchelli Carlo e Alvaro, Alcide Lazzarotti, ecc..
A Lucca ed in Garfagnana, sui cui monti agiscono anche militanti pistoiesi e
livornesi, gli anarchici sono soprattutto presenti nella formazione autonoma
comandata da Manrico Ducceschi "Pippo". Fra i partigiani libertari lucchesi
noti vi sono: Federico Peccianti, nella cui casa si riunisce il CLN; Luigi
Velani, aiutante maggiore nella "Pippo".
A Pistoia agisce la formazione anarchica "Silvano Fedi" composta da 53
partigiani. Il primo gruppo di resistenza si costituisce ad opera di Egisto
e Minos Gori, Tito e Mario Eschini, Tiziano Palandri e Silvano Fedi.
Leggendaria la figura del giovane comandante da cui prende il nome la banda,
vittima di una imboscata dai contorni poco chiari (come testimonierà il
vicecomandante Enzo Capecchi) -tesagli dai tedeschi su probabile "delazione
di italiani". La stessa formazione, con Artese Benesperi alla testa, è la
prima ad entrare in Pistoia liberata.
A Firenze si costituisce, alle dipendenze del comando militare del Partito
d'Azione, una prima banda armata che agisce sul vicino monte Morello
comandata dall'anarchico Lanciotto Ballerini, caduto in combattimento
medaglia d'oro alla memoria. Al poligono di tiro delle Cascine sono fra gli
altri fucilati gli anarchici Oreste Ristori, settantenne già coatto nel
1894, e Gino Manetti. In provincia di Arezzo gli anarchici sono presenti
nella resistenza in Valdarno, con un'attiva partecipazione anche ai CLN
locali, ed in Valtiberina con Beppone Livi "Unico" che assolve compiti di
collegamento fra la formazione 'Bande Esterne', i comitati di liberazione
aretino e toscano, ad Arezzo e a Firenze.
A Ravenna si ha una folta presenza libertaria nella 28^ Brigata Garibaldi e
rappresentanza adeguata nel CLN provinciale. La prima pattuglia partigiana
che entra in Ravenna liberata è comandata dall'anarchico Pasquale Orselli.
Notevole il tributo di sangue.
In provincia di Bologna e Modena gli anarchici contribuiscono alla
costituzione delle prime brigate partigiane a Imola con la "Bianconcini", ed
a Bologna con la "Fratelli Bandiera" e la "7^ Gappisti". A Reggio Emilia
cade fucilato Enrico Zambonini; un distaccamento della 'Garibaldi' prenderà
il suo nome. A Piacenza si ergono le figure di Savino Fornasari e di Emilio
Canzi, accomunati dal singolare destino di morire in incidenti stradali
causati da automezzi alleati. Canzi in particolare comanda tre divisioni e
22 brigate, per un totale di oltre diecimila partigiani!
Le formazioni di La Spezia e Sarzana agiscono in stretto contatto con quelle
della vicina Carrara con due gruppi comandati dagli anarchici Contri e Del
Carpio. Renato Olivieri, già detenuto politico per 23 anni, e Renato Perini
cadono durante uno scontro a fuoco con i nazifascisti.
A Genova la presenza libertaria nella resistenza supera i 400 partigiani
("Pisacane", "Malatesta", SAP-FCL, SAP-FCL Sestri Ponente), di cui 25 caduti
in combattimento. Qui la Federazione Comunista Libertaria, fallita l'ipotesi
di Fronte Unico, deve affidarsi per la lotta armata unicamente alle proprie
forze.
Nella Torino industriale, particolarmente alla FIAT e durante l'insurrezione
alle 'Ferriere Piemontesi', agisce la formazione anarchica denominata 33°
battaglione SAP "Pietro Ferrero". Fra i caduti: Dario Cagno, fucilato per
complicità nell'uccisione di un gerarca, e Ilio Baroni, già ardito del
popolo a Piombino. Nell'astigiano si registrano invece presenze libertarie
fra i 'garibaldini'.
A Milano la lotta clandestina è iniziata da Pietro Bruzzi che viene subito
catturato ed ucciso dopo tortura dai nazifascisti. Gli anarchici dopo la sua
morte costituiscono le brigate "Malatesta" e "Bruzzi" forti di 1300
partigiani, in un secondo momento inquadrate nelle formazioni "Matteotti" e
che avranno, sotto il comando di Mario Perelli, un ruolo di primo piano
nella liberazione di Milano. A Como opera la "Amilcare Cipriani"; in
provincia di Pavia la 2^ Brigata "Malatesta"; mentre nel bresciano gli
anarchici sono attivi in una formazione mista G.L.-Garibaldi.
A Verona l'anarchico Giovanni Domaschi (11 anni di carcere e nove di
confino, due evasioni) fondatore del locale CLN, viene arrestato dai
tedeschi e deportato a Dachau dove muore.
In Friuli Venezia Giulia alcuni anarchici sono inseriti in formazioni
comuniste come la Divisione Garibaldi-Friuli. A Trieste i collegamenti con i
partigiani sono tenuti da Giovanni Bidoli, poi scomparso nei lager tedeschi
insieme a Carlo Benussi, un altro anarchico friulano. Attivo anche Nicola
Turcinovic che ben presto però si trasferisce da Trieste a Genova dove
continua a militare nelle formazioni partigiane della FCL. Nell'alta Carnia,
dove Italo Cristofoli muore durante l'assalto alla caserma tedesca di
Sappada, gli anarchici contribuiscono alla costituzione di una Zona Libera
autoamministrata.
"Le loro formazioni di combattimento - ha scritto Cerrito in merito alla
partecipazione anarchica alla Resistenza - rimangono legate al Partito
Comunista, al Partito Socialista, al Partito d'Azione. Nei CLN ai quali
partecipano con delegati qualificati non riescono mai ad imporre una linea
politica rivoluzionaria, un atteggiamento in qualche modo orientato in senso
libertario. Anche se essi non sono secondi a nessuno nella lotta armata
contro il nazifascismo, non riescono a superare il gradino di inferiorità
psicologica in cui li pone la loro carenza organizzativa e la mancanza di un
programma politico uniforme".
Dopo la liberazione - mentre al sud il movimento si trovava già ad un buon
livello organizzativo una volta costituita l'Alleanza Gruppi Libertari - le
federazioni comuniste libertarie che man mano si erano costituite convocano
a Milano il primo convegno interregionale per l'alta Italia nel giugno 1945.
All'odg: l'unità sindacale e il tema ostico della collaborazione libertaria
ai CLN; la riorganizzazione del movimento giovanile e la convocazione di un
congresso costitutivo della FAI..
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