La crisi dell'anarchismo e l'ethos
liberale
di Pietro Adamo
Sul pensiero di Luce Fabbri
(intervistata da Cristina Valenti su "A" 247) interviene criticamente
Pietro Adamo.
Nel secondo dopoguerra l'anarchismo è andato
incontro alla crisi decisiva, con un progressivo esaurirsi della sua
presenza nell'immaginario occidentale. I pensatori e i militanti hanno
reagito in modi diversi. In maggioranza si sono adeguati alle parole
d'ordine della sinistra marxista, accettandone l'egemonia sul piano
intellettuale e conformandosi alla sua visione manichea del mondo, sia pure
con esplicite divergenze sul piano delle conclusioni. Un esempio
rappresentativo di questo genere di atteggiamento lo troviamo in una delle
donne «forti» del movimento, Maria Luisa Berneri, di cui fu pubblicata, nel
1952, una raccolta postuma di articoli. Il titolo del libro era Neither
East nor West: l'autrice poneva sullo stesso identico piano l'Unione
Sovietica, con i paesi del socialismo reale, e l'Occidente capitalista e
liberale. L'idea portante era che entrambi i sistemi fossero egualmente e
analogamente repressivi e inumani. Il fatto che il suo libro potesse esser
pubblicato nel West, dove gli anarchici erano (relativamente) liberi di far
propaganda culturale o di organizzare sindacati, mentre a East professarsi
anarchico voleva dire prenotarsi un simpatico posto di villeggiatura coatta
in Siberia, non toccava la sostanza del suo argomento. Il socialismo reale e
il capitalismo reale erano due orrori; d'altro canto - e qui assumeva
rilevanza l'influenza della sinistra istituzionale - per il socialismo
"ideale" restava sempre un'ancora di salvezza.
Tra gli anarchici esistevano per fortuna anche altre tendenze - in Italia
ben rappresentate, per esempio, dalla Volontà di Giovanna Berneri e
Cesare Zaccaria - meno propense a condividere senza traumi l'immaginario
comunistoide. Leggere i vari pamphlet pubblicati da Luce Fabbri in questo
periodo è di fatto un'esperienza rinfrescante. Ai dogmatismi e alle certezze
si sostituisce uno spirito critico e analitico, insoddisfatto della vulgata
corrente, animato da una costante problematicità e da una prospettiva
culturale non ristretta. Fedele alla radice socialista dell'anarchismo, la
Fabbri è comunque capace di mettere in gioco questa stessa fede e di
ridiscuterla nell'ambito di una riflessione che tiene conto di nuovi spunti,
come l'ascesa della tecnocrazia e l'avvento del totalitarismo.
I suoi scritti mi sembrano dominati da un'esigenza primaria, descritta in
L'anticomunismo, l'antiimperialismo e la pace (1949) (d'ora in avanti
AAP) nel seguente modo: "Logicamente facile e netta, la posizione di coloro
che lottano per una vera libertà e una vera giustizia sociale, diventa
difficile e quasi direi tragica in mezzo a quest'assurdo allinearsi di
combattenti, in cui il totalitarismo stalinista eredita la funzione storica
del nazi-fascismo" (p.42). Per la Fabbri il tema del percorso possibile
degli anarchici è centrale. In La strada (1952) (d'ora in avanti S)
lo individua nel "socialismo antistatale" della linea bakuninista, che
potrebbe tornare alla ribalta grazie alla rinnovata identificazione tra lo
stato e "lo sfruttamento capitalista" (p.7). L'analisi è tutt'altro che
semplicistica, e si inserisce in una concettualizzazione storica (stavo per
scrivere "filosofia della storia") che, se da un lato soffre, come tutte le
operazioni di questo genere, di un eccessivo schematismo nonché della
pretesa di poter "indovinare" il futuro, dall'altro offre una serie di
considerazioni intorno alla natura dell'anarchismo di indubbio valore e
novità.
Tendenze statolatriche
Già nel secondo dopoguerra la Fabbri era giunta alla conclusione che la
distinzione tradizionale tra destra e sinistra - che per esempio Norberto
Bobbio ritiene ancor oggi valida - era superata. Non serviva a null'altro
che "a coprire di fumo la strada verso l'avvenire". Con l'avvento dei
totalitarismi, la militarizzazione dell'economia e il nuovo impeto dato alla
"statalizzazione" dagli "adoratori" di Stalin, "l'equazione sinistra =
trasformazione nel senso del progresso perde ogni significato
discriminatorio". La divisione del mondo in due blocchi rischia di
semplificare ingannevolmente la situazione. A parere della Fabbri la
terminologia potrebbe essere ancora recuperata con l'attribuzione di nuovi
significati: a destra fascisti e comunisti, uniti da un comune programma di
"massima oppressione politica, massimo sfruttamento economico, monopolizzati
tanto la prima quanto il secondo dallo stato e dalla sua casta burocratica";
al centro le "cosiddette democrazie occidentali", in costante pericolo di
pendenza "verso destra"; a sinistra gli alfieri del socialismo antistatale,
gli antifascisti, i pacifisti, in poche parole i libertari. Per arrivare a
questa "esattezza di vocabolario" occorrerebbe però "porre in termini chiari
il problema del socialismo e quello dello stato". "E ciò generalmente non si
fa", conclude (AAP, pp. 4-7).
Agli inizi degli anni cinquanta l'obiettivo della Fabbri stava quindi nel
ridisegnamento del vocabolario della politica. Nell'ambito di questa
operazione offerse una serie di suggerimenti sulla natura dell'anarchismo
stesso. Anche la riflessione su di esso subiva i nefasti effetti dell'
"innegabile influenza marxista su tutti i movimenti italiani (e, possiamo
dire, europei)" (Sotto la minaccia totalitaria, 1955, p. 13, d'ora in
avanti MT). Questa aveva prodotto, per quanto riguardava l'anarchismo (e gli
anarchici), la sottovalutazione programmatica dell'eredità liberale. Il
termine "liberalismo" aveva assunto una accezione "spregiativa" grazie
all'azione congiunta dei marxisti e dei partiti conservatori che, "per il
fatto di averlo sulla loro bandiera, se ne considerano proprietari" (MT, pp.
45-46). Al contrario, il modo migliore per intendere l'anarchismo era di
considerarlo "alla confluenza di due linee evolutive, quella del liberalismo
e quella del socialismo"(MT, p. 18). Accettando l'istanza egualitaria del
secondo e l'insistenza sui principi della libertà e dell'autonomia del
primo, le tendenze statolatriche presenti in entrambe le tradizioni si
sarebbero neutralizzate a vicenda: "Tanto il liberalismo quanto il
socialismo sono stati falsati, deviati dalla fame del potere: il liberale
non ha vacillato a rendere schiavi gli uomini impadronendosi del loro pane;
il socialista oggi tende alla tirannia politica attraverso la statizzazione
della proprietà. La lotta tra il falso liberalismo (blocco occidentale) e il
falso socialismo (blocco orientale) è una lotta nel vuoto" (S, p. 10).
Lo sforzo maggiore era ovviamente rivolto a chiarire il ruolo del
liberalismo, sul quale sembravano esserci dubbi maggiori. Inserendosi nel
solco delle elaborazioni liberalsocialiste, a loro volta eredi della
distinzione crociana tra liberalismo come metodo e liberismo come politica
economica, la Fabbri sostenne che il primo aveva "avuto solo applicazioni
pratiche parziali e uno sviluppo tronco come dottrina" (S, p. 8). L'idea che
esso, in quanto dottrina individualista, fosse la dottrina cardine del
capitalismo era profondamente errata, e questo per due motivi. In primo
luogo, "il capitalismo non è mai stato individualista" (S, p. 8); nella
ricostruzione storica della Fabbri, il "preteso individualismo" dei capitani
d'industria dell'Ottocento non era altro che "l'espressione del desiderio di
limitare l'autorità dello stato in materia economica". Le prime battute
d'arresto del capitalismo industriale spingeranno infatti i "padroni" verso
cartelli e trusts, istituzioni che costituiscono in se stesse una
palese negazione del cosiddetto individualismo originario. Di conseguenza il
mondo imprenditoriale non si orienta affatto verso i valori dei "mercati e
dei prezzi", ma piuttosto verso la tutela statale prima e verso il controllo
diretto dello stato poi (MT, p. 25). Ed è questo il secondo motivo
dell'inconciliabilità tra liberalismo e capitalismo: facendo tesoro
dell'esperienza nazista, la Fabbri afferma che lo sviluppo più naturale del
secondo lo porterà in altra direzione: i capitalisti "lasceranno cadere il
loro liberalismo per conciliarsi con i nuovi regimi più o meno totalitari in
formazione, che salvano la gerarchia sociale, creando una casta superiore e
privilegiata di funzionari" (S, p. 9).
Federalismo libertario
Quale liberalismo, quindi? Un liberalismo di carattere soprattutto etico,
incentrato in primo luogo "sulla difesa della personalità individuale" (MT,
p. l9). Ed è proprio nello sviluppo di questo concetto che la Fabbri crede
di scoprire il momento della confluenza con il socialismo. I liberali non
sono riusciti a risolvere il problema reale del dominio dell'uomo sull'uomo,
accontentandosi di una pura teoria della politica: "la lotta per la libertà
dell'uomo non può essere diretta solo contro la tirannia politica, ma deve
essere combattuta nello stesso tempo contro il controllo della vita
economica da parte d'una casta privilegiata, sia essa composta da
capitalisti privati o dai burocrati dello stato proprietario" (S, p. 17). In
altri termini, il liberalismo - inteso come metodo di convivenza civile
fondato sul libero sviluppo dei singoli - potrà dirsi compiuto quando avrà
eliminato i presupposti del dominio economico: secondo la Fabbri, la libera
impresa e la proprietà privata. _ in questo senso che la tradizione
liberale, nel suo momento più alto, non potrà che confluire nel socialismo,
accettando l'idea di una proprietà socializzata e di una libera
"associazione che moltiplica all'infinito le proiezioni dello sforzo
individuale" (S, p. l3). Questo percorso non è poi molto diverso da quello
del liberalismo radicale alla Gobetti e del socialismo liberale alla
Rosselli - esperienze sulle quali si sofferma con palese simpatia (AAP, p.
41, MT, pp. 29-30, 42, 44) - con la differenza che, laddove i due insistono
sulla razionalizzazione da un lato, e la diminuzione dall'altro, del potere
di intervento dello stato nella vita degli uomini, la Fabbri postula,
seguendo da presso uno degli interlocutori anarchici privilegiati dei due
"martiri", Camillo Berneri, un metodo liberale all'interno di una società
senza stato basata sui principi del federalismo libertario.
L'equivoco sul liberalismo nasce storicamente dagli sviluppi ottocenteschi
del conflitto tra la società borghese e il socialismo. Il "contenuto
classista" dell'azione di riscossa dei movimenti operai non poteva non
provocare un "urto" decisivo: ma "tale contenuto è, secondo me,
circostanziale" (MT, p. 24), preciserà, accollandone la sopravvivenza
soprattutto al perdurare dell'influenza marxista. Tra le due tradizioni
restano comunque significative differenze. "Ci sono parole che sentiamo
nostre come "socialismo"", scriverà nel 1955, e altre, come "liberalismo",
"che stanno a significare solo una eredità da raccogliere e da continuare"
(MT, p. 9). Il cuore di Luce è tutto dentro la tradizione socialista; ma non
è difficile scorgere, all'interno dei suoi pamphlet scritti tra la fine dei
Quaranta e l'inizio dei Cinquanta, un significativo slittamento di enfasi e
tono. La frase sopra citata prosegue con un chiarimento: il liberalismo è
"una parentela più remota, che diventa importante ora, perché ci aiuta a
combattere da un punto di vista attuale lo stato, dato che oggi capitalismo
e assolutismo burocratico convergono" (MT, p. 9). ln altre parole, è stata
la riflessione sul ruolo e la portata del totalitarismo a portare la Fabbri
a ciò che lei stessa ha descritto come "la valorizzazione della tradizione
liberale" (MT, p. 8). In questo senso la sua riflessione giunge a cogliere
con grande chiarezza ciò che molti anarchici del Novecento, presi nella rete
della vulgata marxista, non hanno spesso compreso, cioè che l'anarchismo non
è in sé l'antitesi del capitalismo, quanto piuttosto del totalitarismo:
"guardando al passato, vediamo che, facendo della libertà il centro delle
loro aspirazioni, gli anarchici si sono trovati fin da principio sulle
posizioni che sono oggi diametralmente opposte a quelle totalitarie" (MT, p.
46). Il confronto con i regimi nazisti e comunisti ha sbalzato in primo
piano ciò che i precedenti conflitti di matrice classista avevano occultato,
rivelando la centralità dell'ethos liberale: "il carattere liberale, in
senso ampio, dell'anarchismo, risalta assai più oggi, alla luce
dell'esperienza totalitaria" (MT, p. 46).
Riflessione incompiuta
Luce Fabbri ha quindi colto alcuni dei più importanti elementi
dell'anarchismo contemporaneo. D'altro canto il suo schema interpretativo
soffre di alcune rigidità, o, volendo usare i suoi termini, della presenza
di "un groviglio di falsi idoli, di dilemmi artificiali, di assiomi
accettati universalmente" (S, p. 26). Nel caso si tratta - mi pare - della
fedeltà a oltranza al modello del comunismo libertario alla Kropotkin, con i
suoi corollari dell'avversione verso la proprietà privata e l'insufficiente
concettualizzazione degli effetti della cosiddetta" proprietà socializzata".
Tuttavia, più che in una sorta di "idolatria" intellettuale, i limiti della
proposta fabbriana - che considero ovviamente secondari rispetto agli
evidenti pregi - mi sembrano fondarsi soprattutto su due elementi
interrelati, il mito della perversione stalinista e una riflessione
incompiuta sul totalitarismo. E' usuale distinguere tra i momenti iniziali
della rivoluzione bolscevica - i soviet, la socializzazione, la democrazia
consiliare, eccetera - e le successive perversioni accentratrici del
leninismo e dello stalinismo. Così facendo si perdono di vista le linee di
continuità nel bolscevismo e la qualità giacobino-totalitaria del complesso
della sua vicenda. _ nei dogmi e nei fondamenti dell'ideologia marxista
stessa che si annidano i germi dell'antiindividualismo radicale e della
"società-massa": l'eliminazione della proprietà privata è solo una delle
strategie di fondo del totalitarismo. Luce si è concentrata sugli effetti
devastanti della proprietà privata nell'accezione capitalista del termine,
proponendo di recidere il male alla radice. E tuttavia il nesso tra
collettivizzazione e società totalitaria non è affatto unidirezionale, e
neppure casuale.
In altri termini, la lezione del Novecento insegna non solo che il
totalitarismo tende di fatto a" socializzare" la proprietà, ma anche che il
livellamento della proprietà tende inesorabilmente a incoraggiare forme
totalitarie di organizzazione della vita sociale. Trascurare questo elemento
ha forse portato la Fabbri a sottovalutare altri elementi dell'ethos
liberale - per esempio, una concettualizzazione garantista e "difensiva"
della proprietà stessa - che potrebbero trovare una degna collocazione
nell'anarchismo stesso.
Pietro Adamo