Abruzzo pittoresco e … progressista!
IL FATTO
Il neo assessore regionale al lavoro, Fernando Fabbiani (PdCI), ha annunciato alla stampa che, grazie ad una sua delibera, approvata in sede di Giunta all’unanimità il giorno 21 giugno 2005, entrerà presto in vigore in Abruzzo il meccanismo del cosiddetto “apprendistato professionalizzante”, anticipando così alcuni dei peggiori aspetti previsti dal connubio Riforma Moratti e Legge 30 sul mercato del lavoro.
Secondo il sig. Maurizio Acerbo (Segretario regionale PRC), la delibera presentata dall’assessor Fabbiani - approvata all’unanimità - non era prevista tra i tanti punti all'ordine del giorno per cui, pur volendo, tutti gli altri assessori non avrebbero avuto il tempo di leggerla attentamente né di verificare e approfondire il contenuto. “Avete idea di che mole di carte costituisca l'ordine del giorno di ogni riunione della giunta?”, chiede il segretario regionale del PRC a tutti gli intervenuti sul dibattito ospitato tra le pagine di Indymedia Abruzzo.
Inoltre, sempre prestando fede alle parole del sig. Acerbo, la suddetta delibera era stata addirittura “presentata come frutto di una elaborazione con la CGIL e gli altri sindacati”.
L’assessore Fabbiani aveva intanto affermato che, in una regione in cui si registra un primato di tutto rispetto in quanto a disoccupazione, precarietà, insicurezza nel lavoro, l’entrata in vigore di tali decreti – approvati all’unanimità - porterà benefici ai lavoratori e rilancerà l’occupazione.
MA COSA CAMBIERÀ NELLA SCUOLA?
È dalla scuola Media che si coglie il nocciolo duro della Riforma Moratti. La regressione è evidente: si torna a prima del 1963, a prima della media unica, ai tempi dell’avviamento professionale. Questo era infatti caratterizzato dalla scelta precoce imposta all’alunno relativamente all’indirizzo. La “nuova” scuola morattiana impone tale scelta a 13 anni. Da qui si dipana il doppio percorso formativo:
· Istruzione – o sistema dei licei - che sbocca ancora nell’Università;
· Istruzione Formazione Professionale (IFP), vero e proprio segmento differenziale di massa che si arresta alla formazione professionale, cui destinare la maggior parte del corpo studentesco: il 22,3% che ora afferisce agli istituti professionali e buona parte di quanti frequentano i tecnici (36,7%).
La riforma innanzitutto
· apparenta gli attuali istituti professionali di stato alla formazione professionale delle regioni;
· elimina gli istituti tecnici.
Istituti professionali statali e formazione professionale sono due cose ben diverse ma ciò non toglie che il futuro dei professionali statali è ritagliato sull’esempio dei centri di formazione professionale (circa 200 in Italia), già gestiti da agenzie a capitale misto pubblico-privato con lo “zampino” dell’impresa. I centri di formazione sono caratterizzati dal fatto che non forniscono titoli di studio spendibili in sede universitaria: infatti la futura formazione professionale e buona parte degli istituti tecnici che ne seguiranno la sorte, sarà quadriennalizzata. Questo a differenza di quanto offrivano invece le vecchie Magistrali che davano comunque possibilità d’accesso alle facoltà del magistero.
Occorrerà fare un anno integrativo, ma anche qui c’è una differenza. Mentre con l’anno integrativo dopo le magistrali si poteva accedere anche alle altre facoltà universitarie, ora occorrerà presentarsi da privatista (a proprie spese) ad una sessione per la maturità.
L’eliminazione degli istituti tecnici invece dipende da diversi fattori, tra cui:
· La volontà di togliere di mezzo diplomi spendibili immediatamente nel mondo del lavoro e che contemporaneamente davano immediato accesso alle facoltà universitarie;
· Compensare la richiesta di manodopera inviando minorenni, con il beneplacito dei dirigenti scolastici, a lavorare gratuitamente al servizio dei padroni d’azienda;
· L’obiettivo di rastrellare una notevole mole di fondi, derivanti dalla chiusura dei laboratori e dalla sparizione di circa 100.000 posti di lavoro, da mettere a disposizione di Berlusconi che userà per tamponare la voragine del deficit del bilancio dello stato;
· La volontà di ampliare il canale dell’istruzione e formazione professionale a scapito degli istituti tecnici poiché buona parte della formazione professionale, soprattutto nel nord, è in mano ai salesiani e ad altre congregazioni religiose (è noto il legame della Moratti con “Comunione e Liberazione” e la “Compagnia delle opere”).
In questa opera distruttrice degli istituti tecnici la Moratti si è trovata però contro la Confindustria, perfettamente consapevole che gli attuali istituti tecnici sono l’asse portante della scuola superiore in Italia (36,7% di allievi iscritti) e che un arretramento culturale dei tecnici, o peggio la loro sparizione, comporterebbe grossi problemi, soprattutto per la reperibilità dei quadri intermedi necessari alla produzione.
La Confindustria ha così dichiarato che gli istituti tecnici non possono stare nella logica “duale” della Moratti, che demarca nettamente il confine tra i percorsi liceali e quelli di istruzione e formazione professionale. Sottolinea inoltre che sono proprio gli istituti tecnici a riscuotere le migliori performance occupazionali e ad ottenere i risultati migliori per i loro allievi che si iscrivono all’università.
Da ciò la possibilità di inquadrare gli istituti tecnici nei licei tecnologici e l’introduzione della novità del “Campus”: i licei ad indirizzo artistico, economico e tecnologico potranno raccordarsi con i percorsi IFP per formare un centro polivalente denominato “Campus” e permettere agli studenti l’eventuale possibilità di trasferirsi dai licei agli IFP e viceversa. Due percorsi, che si era voluto separare del tutto, improvvisamente vengono messi fisicamente insieme con la clausola però che ognuno “possiede una propria identità ordinamentale e curriculare”. Le contraddizioni insite nel testo del decreto sono il frutto della mediazione avvenuta tra i partiti della maggioranza: AN si è dichiarata soddisfatta della costituzione delle due aree liceali generalista e tecnica. L’UDC chiedeva che i “campus” dessero spazio soprattutto agli ex istituti tecnici e professionali. Forza Italia invece premeva per i due percorsi nettamente separati.
Riguardo la possibilità di iscriversi all’università, solo il liceo classico consentirà l’accesso qualificato a tutte le facoltà mentre i percorsi degli altri licei risultano “propedeutici” ai corsi universitari: ciò implica il fatto che si va verso una regolamentazione degli accessi per cui, a parte il classico, gli altri licei daranno accesso solo ad alcune facoltà. Non è chiaro se esisterà ancora il diploma liceale e professionale come non è detto dove si svolgeranno i corsi integrativi e gli esami di stato per coloro che provenendo dall’IFP vogliono iscriversi all’università.
Questa impostazione estremamente classista comporterà per l’allievo una scelta prematura a 13 anni tra il percorso liceale-universitario ed il mondo del lavoro. Ma non è tutta farina del sacco della Moratti; infatti la divisione dell’Istruzione superiore in due canali (uno dell’Istruzione e l’altro dell’Istruzione e Formazione Professionale) era stata anticipata da una modifica costituzionale che il Governo di centrosinistra aveva votato poco prima della scadenza del suo mandato parlamentare. Il 7 Ottobre 2001 si svolse un referendum confermativo, da cui la legge costituzionale 17 Ottobre 2001 n. 3, che affidava l’istruzione e l’Istruzione e Formazione Professionale alla legislazione esclusiva delle Regioni.
Viene dunque ceduta alle regioni tutta l’organizzazione dell’Istruzione e della Formazione Professionale (IFP) di cui dovranno, tra l’altro, sostenere i costi (si verranno così a creare due canali completamente separati: quello liceale a gestione statale e l’IFP a gestione regionale), programmare l’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, stabilire i contributi per le scuole non statali, determinare il calendario scolastico, etc…
Con l’ingresso di capitale privato, didattica e ricerca saranno di fatto subordinate agli interessi e ai ritmi delle imprese locali, si assisterà alla differenziazione sostanziale delle scuole del Nord da quelle del Sud, delle scuole “sponsorizzate” dai geni della finanza dagli istituti di “provincia”; nei confronti dell’industria e degli industriali la scuola pubblica sarà assai meno autonoma di quanto oggi non sia.
L’imposizione a 13 anni della scelta duale tra licei e formazione professionale rappresenta l’aspetto più classista della riforma della Moratti: tale scelta, praticamente irreversibile, verrà fatta dalle famiglie in base alle loro possibilità economiche. Si vuol togliere la possibilità di quella opzione intermedia che oggi è rappresentata dagli istituti tecnici e che risulta tra l’altro la più apprezzata (36,7% di iscritti a fronte di un 22,3% dei professionali e un 20% dei licei scientifici).
Estremamente negativi sono poi gli aspetti che riguardano la riduzione dell’orario delle lezioni a 27 ore in tutti i tipi di liceo, compreso il tecnologico e l’economico, il tutor che gerarchizza la categoria ed il portfolio che, agganciato al libretto di lavoro, come richiede Confindustria, risulterà essere una vera e propria schedatura preventiva da presentare al datore di lavoro.
Quello che caratterizzerà la formazione del secondo ciclo, sia nel sistema dei licei sia nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale (IFP), è la cosiddetta “alternanza scuola lavoro”. Si tratta di un allargamento a dismisura degli attuali stage di raccordo col mondo del lavoro, di interi mesi passati dagli studenti (dai 15 ai 18 anni) direttamente a lavorare presso terzi.
Su tale aspetto la Confindustria è stata l’unica struttura che non ha mai avuto dubbi sulla “qualità” della “riforma” Moratti: le si fornisce manodopera gratuita rinnovata di anno in anno e le si consegna direttamente il timone della scuola, il cui raccordo con l’alunno resterà unicamente il tutor, figura che è naturalmente prevista anche alle scuole superiori; una sorta di assistente che, libero dalla classe, andrà di quanto in quanto a “visitare” gli alunni-lavoratori. Precisamente ci sarà un doppio tutoraggio: un tutor designato dalla scuola ed uno designato dall’azienda.
Gli allievi di tutte scuole superiori a 15 anni potranno scegliere tra le lezioni in classe e la possibilità di imparare lavorando in azienda e le ore trascorse sul posto di lavoro saranno considerate interne al “tempo scuola”. Non viene posto alcun limite a questa permanenza se non quello che risulterà dagli accordi stipulati direttamente tra le scuole e le aziende o enti presso i quali gli studenti si recheranno al lavoro, ovviamente gratis (non solo, ma le aziende per questo verranno anche incentivate dallo stato).
Il diritto allo studio e l’obbligo scolastico si trasformano in diritto/dovere, che attraverso l’apprendistato può essere completato.
Il dovere di cui si parla nel decreto è “un dovere sociale”, ai sensi dell’articolo 4, secondo comma della Costituzione che prevede che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società ”.
L’apprendistato viene equiparato a tutti gli effetti ai fini dell’assolvimento del diritto/dovere agli altri percorsi di istruzione e formazione, per cui frequentare corsi con un numero considerevole di ore di formazione e lavorare avranno lo stesso valore formativo secondo la Moratti.
Come ultima novità, in fase di approvazione in Consiglio dei Ministri, è stata introdotta la possibilità di assolvere il diritto-dovere arruolandosi nelle forze armate che diventano agenzia formativa a tutti gli effetti.
Il 1° settembre 2006 dovrebbero partire in tutte le scuole italiane le nuove classi prime dei licei e dell’IFP.
Grazie alla giunta di centrosinistra l’Abruzzo si propone oggi come regione all’avanguardia, anticipando il tutto, così come ha fatto la Lombardia, addirittura di un anno.
Comitati di Base Studenti Libertari