L'impossibile suicidio
di Mirko Roberti
Estinzione e abolizione dello Stato.
La contrapposizione, non terminologica ma sostanziale, tra marxismo e
anarchismo su una questione di nodale importanza teorica e pratica
A distanza di cento anni dalla formazione storica
dell'ideologia marxista e di quella anarchica,, punto specifico ed
emblematico che riassume le opposte posizioni teoriche di esse, rimane
quello dello Stato. Esso, divenuto oggi, scopertamente, non più
solamente "un comitato di affari della disuguaglianza e dello sfruttamento,
stabilitosi ormai come sistema totale tendente alla fusione della
sfera economica con quella politica, rimane oggi come ieri, il nemico numero
uno di tutti gli sfruttati, e gli oppressi.
Sulla sua natura, come significato e funzione, si sono scontrate nel corso
di une secolo, all'interno del movimento socialista e operaio, le posizioni
libertarie e quella autoritarie. Apparentemente esse sembrano ricondirsi ad
un ambito propriamente metodologico, dal momento che l'ipotesi di una
società comunista, così come è stata formulata nella sua fase ultima dal
marx-leninismo, non sembra discostarsi molto dalla concezione anarchica
della società libertaria. Ma, un'analisi più attenta e approfondita. apre in
realtà uno squarcio tra di esse, tanto che il confronto trascende i limiti
del campo metodologico per investire ed implicare quello costitutivo del
finalismo rivoluzionario. In questo modo l'intera discussione sullo Stato,
attraverso le ripetitive posizioni pratico-teoriche di entrambe le dottrine,
si trasforma in una discussione nodale sulla natura propria della teoria
marx-leninista e di quella anarchica.
Per non perderci in una serie interminabile di disquisizioni accademiche,
assumiamo, come centro sociale di verifica, due termini che riassumono e
sintetizzano, anche fisiologicamente, sia la tradizione ortodossa ed
eterodossa del marx-leninismo, sia quella anarchica. I termini
estinzione ed abolizione dello Stato appartengono, infatti,
esclusivamente, rispettivamente al primo e al secondo patrimonio teorico.
Essi, inoltre, ci permettono di avanzare alcune ipotesi interpretative, in
sede storiografica, sul loro significato operativo rispetto alle esperienze
passate. Il significato teorico che emerge da quest'ultima considerazione,
introduce una comprensione che passa dal campo teorico a quello pratico,
così che l'intera discussione diventa feconda di insegnamenti vivi,
mantenendo intatta tutta la pregnanza della sua attualità.
Marx ed Engels
Prendiamo rapidamente in esame le ultime posizioni di Marx ed Engels
relative allo Stato. Esse sono la conclusione di una trentennale riflessione
teorica su questo tema, anche se alcuni interpreti "libertari" del pensiero
marxista, distinguono un Marx "giovane" da un Marx "maturo", rilevando nella
prima fase un accento più spiccatamente libertario. Una prima generale
considerazione da fare riguarda l'impianto essenziale dell'analisi marxiana:
essa individua nella classe operaia il soggetto specifico della rivoluzione
socialista. Scrive Marx "Una rivoluzione sociale radicale è legata a certe
condizioni storiche dello sviluppo economico; queste ne costituiscono la
premessa. Essa è quindi possibile soltanto laddove, con la produzione
capitalistica, il proletariato industriale assume almeno una posizione di
rilievo sulla massa del popolo" (1). L'oggetto dell'attenzione teorica
marxiana è la società storica capitalistico-borghese nella sua forma matura
a quel tempo: l'Inghilterra. Più in generale l'intera struttura della
dialettica marx-engelsiana, ruota intorno ai poli borghesia-proletariato,
capitale-forza lavoro. Vale a dire a rapporti che rientrano sempre, bene o
male, in un contesto storico ben preciso: la rivoluzione
socialista, precisa Marx, "è legata a certe condizioni storiche dello
sviluppo economico", la realizzazione della società socialista
necessariamente emerge dalla società capitalista" (2).
Ora, da questa prima considerazione generale dell'analisi marx-engelsiana,
riguardante la sfera propriamente socio-economica, così come si presenta
attraverso le classi determinanti l'esito della lotta, è possibile passare
all'attenzione particolare dello Stato. La riflessione marx-engelsiana
riposa sulla premessa vista precedentemente: lo Stato, come forma politica
specifica del dominio borghese. La realizzazione della società comunista,
liberata dal peso parassitario dello Stato, risulta sempre, però,
condizionata da certe condizioni storico-economiche. Scrive ancora Marx "In
una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la
subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e
quindi anche il contrasto fra lavoro intellettuale e fisico; dopo che il
lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno
della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono
cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza
collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l'angusto
orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere
sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi
bisogni! (4).
Dunque, solo dopo, "in una fase più elevata", avviene l'estinzione
dello Stato. Engels, a questo proposito, ribadisce la condizione essenziale
di tale estinzione, scrivendo "Essa ha quindi come suo presupposto
un alto grado di sviluppo della produzione nel quale l'appropriazione dei
mezzi di produzione e dei prodotti, e perciò del potere politico, del
monopolio della cultura e della direzione da parte di una particolare classe
sulla società non solo è divenuta superflua, ma è diventata anche
economicamente, politicamente e intellettualmente un ostacolo allo sviluppo"
(5). In tale contesto si precisa che "l'intervento di una forza statale nei
rapporti sociali diventa superfluo successivamente in ogni campo e poi viene
meno da se stesso... Lo Stato non viene "abolito": esso si estingue
(6).
Occorre, a questo punto, meditare attentamente la precisazione engelsiana.
Essa riconferma innanzi tutto la condizione storico-economica postulata da
Marx di tale passaggio, poi rimette in evidenza la differenza tra
abolizione ed estinzione, infine, ed è questo l'aspetto più
interessante, delega allo Stato il compito di estinguersi: esso
"viene meno da se stesso". Questa significativa pagina di Engels si
inserisce nel contesto generale della "fase di transizione" alla società
comunista. Ribadendo il rifiuto di Marx "sull'abolizione dello Stato
e sciocchezze analoghe" (7), Engels illuminava sinteticamente il periodo di
transizione concepito da Marx. Quest'ultimo aveva scritto che "Tra la
società capitalista e la società comunista vi è il periodo della
trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso corrisponde anche
un periodo di transizione, il cui Stato non può essere altro che la
dittatura rivoluzionaria del proletariato." (8).
Dall'insieme di questa pur sommaria documentazione è possibile ricavare
alcune considerazioni di carattere generale sul tema dell'estinzione
dello Stato. Prima di tutto che l'esistenza dello Stato non ha una
propria autonomia, e pertanto trasformato il rapporto di produzione
capitalistico in rapporto comunista, lo Stato "viene meno". Poi la conferma
che questo "venir meno" rientra all'interno della "fase di transizione"
dalla società capitalistica alla società comunista, e, infine, che
questa azione di estinguersi è condotta in prima persona dallo Stato.
In altri termini l'azione rivoluzionaria si limita a cambiare le condizioni
storico-economiche, poi lo Stato "cadrà da sè".
Lenin
Nell'esaminare il concetto dell'estinzione dello Stato in Lenin,
non vi troviamo una grande differenza rispetto alle tesi marx-engelsiane.
Lenin riconferma, punto per punto, sia l'impostazione analitica, sia quella
metodologica. Egli sostiene, preliminarmente, con essi, che solo il
proletariato (classe operaia) è il soggetto rivoluzionario "Mentre la
borghesia fraziona, disperde la classe contadina e tutti gli strati
piccolo-borghesi, essa concentra, raggruppa e organizza il proletariato.
Grazie alla sua funzione economica nella grande produzione, solo il
proletariato è capace di essere la guida di tutti i lavoratori e di
tutte le masse sfruttate, che la borghesia spesso sfrutta, opprime,
schiaccia non meno e anche più dei proletari, ma che sono incapaci di
lottare indipendentemente per la loro emancipazione. (9).
Questa premessa generale è complementare all'altra tesi dialettica della
formazione storica del comunismo. Quest'ultimo appartenendo ad una "fase più
elevata" del "periodo di transizione", non può venire imposto. Questa
"fase", infatti, "superiore del comunismo, non solo nessuno ha mai promesso,
ma non ha neppure pensato di "introdurre", per la sola ragione che è
impossibile "introdurla". (10). Questo perché "il comunismo è generato
dal capitalismo, si sviluppa storicamente dal capitalismo! (11). Lo schema
semi-automatico del processo rivoluzionario confluisce e sbocca nella teoria
dell'estinzione dello Stato, che viene contrapposta a quella della
abolizione propria dell'anarchismo. Lenin ribadisce "la formula
secondo cui, per Marx, Lo Stato si "estingue", in contrapposizione alla
dottrina anarchica della "abolizione dello Stato" (12).
Anche la "fase di transizione" dalla società capitalistica alla società
comunista è riconfermata, nel pensiero leninista, come complementare alla
concezione dell'estinzione, introducendo, inoltre, un'importante
distinzione tra "soppressione" dello Stato borghese ed "estinzione" dello
Stato proletario. Riconfermando ciò che affermava Engels, Lenin scrive "In
realtà, Engels parla qui di soppressione dello Stato della borghesia
per opera della rivoluzione proletaria, mentre ciò che egli dice
sull'estinzione dello Stato riguarda i resti dello Stato proletario
che sussisteranno dopo la rivoluzione socialista. Lo Stato
borghese, secondo Engels, non "si estingue"; esso viene "soppresso" dal
proletariato nel corso della rivoluzione. Ciò che si estingue dopo questa
rivoluzione, è lo Stato proletario o semi-Stato (13).
Bakunin
Rispetto alla teoria dell'abolizione dello Stato, prendiamo ora
in esame alcune significative posizioni anarchiche. A differenza di Marx ed
Engels, Bakunin non individua solo nella classe operaia il soggetto
rivoluzionario, organizzate il proletariato delle città, e ciò facendo,
unitelo nella stessa organizzazione preparatoria col popolo delle campagne.
E' qui la salute della rivoluzione italiana, la salute della rivoluzione in
tutti gli altri paesi" (14). L'implicazione teorica presente in questa
affermazione, riconduce all'analisi bakuniniana delle condizioni storiche
favorevoli al processo rivoluzionario. Esse non vengono solo individuate
sulla base dello sviluppo del sistema capitalistico, ma più in generale
sulla struttura autoritaria presente in ogni sistema socio-economico di
sfruttamento e disuguaglianza. Scrive Bakunin: "...egli, (Marx) afferma che
i paesi più progrediti e di conseguenza più idonei a compiere la rivoluzione
sociale sono quelli in cui la produzione capitalista moderna ha raggiunto il
più alto grado di sviluppo. Solo questi paesi sono civili, ed essi soltanto
sono chiamati ad iniziare e guidare la rivoluzione... La rivoluzione sociale
(invece) è infinitamente più profonda... Non si tratta (solo)
dell'emancipazione della classe operaia... ma dell'emancipazione totale ed
effettiva di tutto il proletariato; emancipazione riguardante non solo
alcuni paesi, ma tutti i paesi civilizzati e no" (15).
Da questa premessa generale, Bakunin scioglie il nodo riguardante la
abolizione dello Stato. Quest'ultimo, per Bakunin, risulta, presente in
ogni sistema socio-economico di sfruttamento e di disuguaglianza. Il suo
principio formale, come struttura autoritaria, presiede alla sua
costituzione storica, qualunque sia il grado di sviluppo di essa. E come il
processo di "emancipazione" trascende lo sviluppo storico-economico, perché
essa non riguarda "solo alcuni paesi, ma tutti i paesi civilizzati e no",
così i tempi dell'abolizione dello Stato non sono storici, ma
rivoluzionari, La rivoluzione sociale, infatti, "dovrà distruggere queste
istituzioni e queste autorità (quelle dello Stato) né prima né
dopo, ma nel medesimo momento" (16).
Il programma dell'immediata abolizione dello Stato, in Bakunin fa
tutt'uno con quello della rivoluzione sociale "che punta decisamente
all'abolizione di ogni sfruttamento e di ogni oppressione politica,
giuridica, amministrativa, governativa e quindi all'abolizione di ogni
classe mediante l'uguaglianza economica di tutti i mezzi economici e
all'abolizione del loro ultimo sostegno, lo Stato" (17). Le conseguenze
pratico-teoriche di questa impostazione sboccano nel rifiuto, da parte di
Bakunin, del "periodo di transizione" dal capitalismo al comunismo
ipotizzato da Marx ed Engels: "Dicono che questo giogo dello Stato, questa
dittatura è una misura transitoria necessaria per poter raggiungere
l'emancipazione integrata del popolo: l'anarchia o la libertà sono il fine,
lo stato o la dittatura sono il mezzo. E così per emancipare le masse
popolari si dovrà prima di tutto soggiogare (...) rispondiamo che nessuna
dittatura può avere altro fine che quello della propria perpetuazione..."
(18).
Quest'ultima affermazione stabilisce implicitamente che la struttura dello
Stato ha una sua propria autonomia, ben lungi da estinguersi qualora siano
cambiati solo i rapporti di produzione capitalistici. Questa capacità di
ricomporsi dello Stato, anche con livelli storico-economici diversi, è il
tema della logica bakuniniana, l'interazione tra sistema politico e sistema
economico "La miseria produce la schiavitù politica, lo Stato... (ma)... La
schiavitù politica, lo Stato, riproduce a sua volta, e perpetua, la miseria,
quale condizione della sua esistenza (19).
Fabbri e Berneri
Dopo Bakunin, e prima di lui Proudhon, tutto l'anarchismo ha ribadito che
l'abolizione dello Stato, è elemento complementare e approdo logico
delle sue premesse teoriche. I due autori che prendiamo ora in esame si
pongono, come tanti altri, in questa "tradizione" ideologica: abbiamo scelto
loro perché essi scrissero su questo tema, anche perché pressati da
esperienze rivoluzionarie precise: Fabbri di fronte a quella russa, Berneri
militando in quella spagnola. Cominciamo da Fabbri.
L'interazione fra sfera economica e sfera politica, fra Stato e capitalismo,
è presente in Fabbri come in Bakunin. Scrive Fabbri "Parlando del fattore
statale (...) non intendiamo parlare come di qualche cosa di
separato, distinto... col fattore economico. L'uno e l'altro si
collegano, s'intrecciano e spesso sono inseparabili anche agli occhi dei più
meticolosi ricercatori di distinzioni" (20). Più avanti, però, Fabbri
individua anche una autonomia dello Stato, secondo il modello classico di
analisi dell'anarchismo "lo Stato, cioè l'istituzione (...) ha una sua
vitalità propria, e costituisce con i suoi componenti" (21). Questa
precisazione sull'autonomia della struttura statale è la conseguenza della
distinzione analitica, propria dell'anarchismo, fra sistema autoritario in
generale e sua concretizzazione storica particolare, fra potere e forma
socio-economica del potere. Fabbri, infatti, precisa che "La lotta contro lo
Stato, come contro ogni forma di autorità coattiva e violenta dell'uomo
sull'uomo, (...) è la ragion d'essere dell'anarchismo. In quanto gli
anarchici sono socialisti, essi hanno anche la funzione di combattere il
capitalismo, ça va sans dire; ma la loro funzione specifica, come
anarchici, è quella di combattere l'autorità statale, non solo nelle sue
manifestazioni inerenti al regime capitalistico, ma anche nella sua propria
essenza costituente il Potere" (22)... "Di qui la necessità dell'abolizione
dello Stato" (23).
Berneri in una serie di articoli su Guerra di classe del 1936 mette
a fuoco il problema dello Stato, rispetto alle posizioni marx-leniniste e
anarchiche. Prima riconferma il punto di vista di quest'ultime sulle
autorità dello Stato "Che lo Stato si riduca al potere repressivo
sul proletariato e al potere conservatore rispetto alla borghesia,
è tesi parziale, sia che si esamini lo Stato anatomicamente, sia che lo si
esamini fisiologicamente. Al governo di uomini si associa nello Stato,
l'amministrazione delle cose (qui Berneri fa propria una tesi famosa di
Malatesta (24): ed è questa seconda attività che gli assicura il permanere.
I governi cambiano. Lo Stato resta" (25).
Sempre in polemica con Marx-Engels-Lenin, Berneri dopo un excursus
sull'"indipendenza fra lo Stato e il capitalismo" (26), passa a criticare la
"fase di transizione al comunismo". Riferendosi ad un celebre passo dello
Antidühring di Engels, egli nota "In realtà, Engels, sotto l'influenza dello
stile dialettico, si esprime infelicemente. Tra l'oggi borghese-statale e il
domani socialista-anarchico Engels riconosce una catena di tempi successivi,
nei quali stato e proletariato permangono. A gettare della luce
nell'oscurità... dialettica è l'accenno finale agli anarchici che vogliono
che lo Stato sia abolito dall'oggi al domani, ossia che non ammettono il
periodo di transizione..." Lo Stato socialista, abolendo le classi si
suicida. Marx ed Engels erano dei metafisici ai quali accadeva di frequente
di schematizzare i processi storici per amore di sistema." Il proletariato
"che si impadronisce dello stato, deferendo ad esso tutta la proprietà dei
mezzi di produzione e distruggendo se stesso come proletariato e lo
stato in quanto stato è una fantasia metafisica, un'ipotesi politica di
astrazioni sociali" (27).
Sintetizzando le tesi di Bakunin, Berneri e Fabbri, possiamo dire che il
processo rivoluzionario si concretizza, come dice il secondo, attraverso
"l'abolizione dello Stato, mediante la rivoluzione sociale e il costituirsi
di un ordine nuovo autonomista-federale" (28), poi con la pratica
immediata di tale ordine, infine, con il riconoscimento storico della
possibilità rivoluzionaria applicabile a diversi livelli socio-economici
dello sviluppo storico.
L'azione rivoluzionaria
Dobbiamo ora vedere quale significato dinamico è risultato inerente
rispettivamente alla teoria dell'estinzione e a quella dell'abolizione
dello Stato. Questa dimensione implica, infatti, alcune ipotesi
interpretative sull'operare storico del marx-leninismo e dell'anarchismo.
Risulta innanzi tutto evidente che la scomparsa dello Stato, all'interno
dello schema Marx-leninista, è strettamente legata alla concezione
dialettica del materialismo storico. La dottrina marx-engelsiana prima, e
leninista, poi, sull'estinzione dello Stato, è in armonia con
l'intero sistema teorico-ideologico. Il postulato base di questa connessione
si misura sul significato dinamico, ma passivo, dell'estinzione
dello Stato.
Significato passivo perché, come abbiamo accennato sopra, l'azione di
estinguersi viene delegata allo Stato. Quest'ultimo essendo un apparato
sovrastrutturale non ha una sua propria autonomia, la sua esistenza è
determinata dal rapporto di produzione capitalistico. Il tempo dell'estinzione,
precisa il marx-leninismo, è il tempo della "fase di transizione"; non solo,
essa si fa realizzazione comunista dopo la "soppressione" dello
Stato borghese e l'avvento della "dittatura del proletariato". I tempi del
processo rivoluzionario, della concezione marx-leninista, sono due: il primo
è attivo (soppressione dello Stato borghese), il secondo è passivo (estinzione
dello Stato proletario o semi-Stato). Ne deriva che l'azione rivoluzionaria
propugnata dal marx-leninismo è attiva solo rispetto al capitalismo,
perché una volta rovesciati i suoi rapporti, viene meno anche la tensione
storico-dialettica.
Questa divisione in due tempi del processo rivoluzionario, l'uno di
distruzione attiva, l'altro di costruzione passiva, rappresenta la
giustificazione teorico-ideologica, a nostro avviso, della progressiva
sostituzione dei fini che ha caratterizzato lo sviluppo storico del
marx-leninismo. La teorizzazione del dopo, dilatando la
costruzione del comunismo in un tempo non più ipotizzabile, sembrava allora
una risposta scientifica di fronte alla pretesa "utopistica" di "introdurre"
tale fase indipendentemente dallo sviluppo storico-economico della
società. L'individuazione della progressiva sostituzione dei fini,
con tendenza non degenerativa, ma logica, del
marx-leninismo, apre ora una comprensione scientifica della sua natura
storica (29).
Il significato dinamico della teoria anarchica dell'abolizione
dello Stato, si iscrive, al contrario, in un contesto attivo dell'azione
rivoluzionaria. Lo Stato viene abolito, in via diretta, dal soggetto
rivoluzionario agente in prima persona. Nessuna delega allo Stato di
sopprimersi da sè. Questa dimensione attiva dell'azione rivoluzionaria è
dunque, a differenza del marx-leninismo, presente non solo contro il
capitalismo, ma anche nella costruzione per il socialismo.
Abbiamo già visto in Bakunin, ma più in generale nella teoria anarchica, che
i tempi dell'"emancipazione" non sono storici, ma rivoluzionari. Non vi sono
un prima e un dopo nella costruzione del socialismo,
ma una dilazione ininterrotta dei mezzi rivoluzionari.
Come l'estinzione dello Stato è in armonia con la concezione
generale marx-leninista, così l'abolizione di esso è logicamente
complementare alla concezione anarchica generale. Mentre l'oggetto specifico
dell'analisi marx-leninista è il capitalismo nella sua fase più matura, cioè
una particolare società storico economica, l'oggetto specifico dell'analisi
anarchica è la società autoritaria, presente sia nel capitalismo
come in qualsiasi altro sistema socio-economico di sfruttamento e di
disuguaglianza. La contemporanea presenza, in diversi sistemi
socio-economici, di un unico principio informatore autoritario,
rappresentato nella sua forma più generale dalla gerarchia statuale, conduce
l'anarchismo a considerare lo Stato come un apparato autonomo e non
sovrastrutturale. La generalizzazione e universalità della struttura
autoritaria, perpetuandosi in differenti società storiche, rimane identica a
se stessa rispetto all'azione rivoluzionaria dell'anarchismo. Questo
significa che anche quest'ultimo è rimasto identico a se stesso nel corso
del suo sviluppo storico: esso infatti non ha progressivamente
sostituito i suoi fini. La radicale diversità tra l'ipotesi
interpretativa del marx-leninismo e quella dell'anarchismo, in sede
storiografica, si riflette ora in sede propriamente teorica. Vedremo in un
prossimo articolo quali insegnamenti trarre dall'intreccio di queste due
riflessioni.
Mirko Roberti
1) K. Marx, Estratti e commenti critici a "Stato e anarchia" di Bakunin, in K. Marx, F. Engels, Critica dell'anarchismo, Torino 1972, p.355.
2) K. Marx, Critica del programma di Gotha, in K. Marx, F. Engels, Opere scelte, Roma 1966, p.960.
3) Secondo uno studio recente, condotto attraverso anche un'analisi filologica dei testi marxisti ed engelsiani, D. Zolo, La teoria comunista dell'estinzione dello Stato, Bari 1974, Marx, a differenza di Engels, non considerava lo Stato come un puro e semplice apparato sovrastrutturale. Vedi in proposito D. Zolo, La teoria... op. cit., pag.255 ss.
4) K. Marx, Critica del programma..., op. cit., p.962.
5) F. Engels, Antidühring, in K. Marx, F. Engels, Opere, op. cit., p.1037.
6) F. Engels, Antidühring, in K. Marx, F. Engels, Opere, op. cit., p.1034.
7) K. Marx, Lettera a Edward Spencer Beesly, in K. Marx, F. Engels, Critica dell'anarchismo, op. cit., p.405.
8) K. Marx, Critica del programma..., op. cit., p.970.
9) V.I. Lenin, Stato e rivoluzione, in Opere scelte, Roma 1965, p.968.
10) V.I. Lenin, Stato e..., op. cit., p.927.
11) V.I. Lenin, Stato e..., op. cit., p.916.
12) V.I. Lenin, Stato e..., op. cit., p.861.
13) V.I. Lenin, Stato e..., op. cit., p.862. La correttezza marxiana di questa impostazione è stata avvalorata recentemente da L. Colletti, Marx, Hegel e la scuola di Francoforte, in "Rinascita", 14 marzo 1971, XXVII, n.20.
14) M. Bakunin, Circolare ai miei amici d'Italia, in Stato e anarchia e altri scritti, Milano 1968, p.437.
15) M. Bakunin, Lettre au journal la "Libertè", de Bruxelles, in Oeuvres, IV, Paris 1910, pp.381, 382, 383.
16) M. Bakunin, Manuscrit de 114 pages redigé a Marseille, in Oeuvres IV, op. cit. p.197.
17) M. Bakunin, Stato e anarchia, in Stato e anarchia e altri..., op. cit., p.59.
18) M. Bakunin, Stato e anarchia e altri..., op. cit., pp.191-192.
19) M. Bakunin, Lettre au journal..., op. cit., p.387.
20) L. Fabbri, Dittatura e rivoluzione, Ancona 1921, pp.36-37.
21) L. Fabbri, Dittatura..., op. cit., p.42.
22) L. Fabbri, Dittatura..., op. cit., p.48.
23) L. Fabbri, Dittatura..., op. cit., p.31.
24) "Quando Federico Engels, forse per parare la critica anarchica, diceva che sparite le classi lo Stato propriamente detto non ha più ragione di essere e si trasforma in governo degli uomini in amministrazione delle cose, non faceva che un vacuo gioco di parole. Chi ha il dominio sulle cose, ha il dominio sugli uomini; chi governa la produzione governa il produttore; chi misura il consumo misura il consumatore". E. Malatesta, Stato "Socialista", in l'"Agitazione di Ancona", n.10, del 15 maggio 1897, ora in Scritti scelti, Napoli 1954, p.84.
25) C. Berneri, Il marxismo e l'estinzione dello Stato, in "Guerra di classe", Barcellona 9 ottobre 1936, ora in Pietroburgo 1917, Barcellona 1937, Milano 1964, p.199.
26) C. Berneri, Il marxismo e l'estinzione..., op. cit., p.201.
27) C. Berneri, Abolizione ed estinzione dello Stato, in "Guerra di classe", Barcellona 24 ottobre 1936, ora in Pietrogrado...op. cit., p.215.
28) C. Berneri, Abolizione..., op. cit., p.213.
29) Un rilievo estremamente interessante in merito alla giustificazione teorico-ideologica della sostituzione dei fini, si trova in M. Buber, Sentieri di utopia, Milano 1967, p.120-122. Un esempio esplicito di tale "sostituzione" si può vedere nel passaggio, nella Russia sovietica, dalla "coscienza giuridica rivoluzionaria alla legalità socialista". A questo proposito si veda a cura di G. Tarello, Materiali per una storia della cultura giuridica, Bologna 1971, pp.331-508