Nietzsche e l’anarchismo

(Estratti, da “Pensiero e Volontà”, gennaio 1924)

di Camillo Berneri

 

“«Io voglio vivere la vita!... A tutti i costi! Nei piaceri più raffinati, nelle più voluttuose delizie. Dovessi pur schiacciare per giungere i miei fini questa umanità vile e imbecille che disprezzo; dovessi immergerla fra mare di sangue e montagne di cadaveri, non esiterei un istante. Cosa vale la vita di qualche milione di miserabili di fronte al mio benessere?».

Così un giovanetto neroneggiante su di una rivista individualista. Quanti sfoghi letterari di questo genere abbiamo letto e continueremo a leggere su periodici che si dicono anarchici! La colpa è di Nietzsche?

Un po’ sua, ma più che altro è della facilona suggestionabilità dei suoi immaturi lettori, che non sanno distinguere ciò che è slancio lirico e ciò che è pensiero filosofico. Il linguaggio immaginoso del poeta-filosofo li colpisce e li conquista; e questo perché sono incapaci di sfrondare il pensiero per analizzarlo criticamente. 

(…) Come sorse la filosofia del Superuomo?

Fin da giovamento il Nietzsche, appassionato cultore di studi classici, pensa la civiltà greca come la più bella, la più ampia ed umana. L'immoralismo si sviluppa in lui col contatto con lo spirito dionisiaco greco. Ma un'altra passione lo ispira: quella per gli eroi. L’Emerson, col suo culto pei grandi uomini e per la sua esaltazione lirica dell'energia e della volontà, è, coi classici greci, la sua lettura preferita. Studente, nel 1862 e nel 1866, sostiene che l'uomo di genio è superiore alle leggi alla morale ordinaria. 

(...) Dopo il 1876 si distacca dal suo maestro, ma non completamente. Infatti è il pessimismo dello Schopenhauer che lo porta, insieme al suo ellenismo immoralista, alla negazione della pietà. Egli giunge a scrivere: «Il Superuomo mi sta a cuore, questo è il mio primo e l'unico e non l'uomo, non il prossimo, non il più povero, non il sofferente». Il Superuomo è «la splendida belva fulva che gira attorno lascivamente in cerca di vittoria e di preda».

(…) Quando avvenne la terribile catastrofe del terremoto di Kracatoa che fece perire a Giava duecentomila persone, il filosofo pessimista ne rimane entusiasta, ed esclama leggendo i dispacci: «Quanto è bello! Duecentomila esseri annientati di un colpo! È magnifico!». E trovandosi a Nizza, manifesta ad un amico il suo vivo desiderio di poter assistere ad un maremoto «energico» che sopprima «almeno Nizza e il suo popolo». All'amico che gli osserva che in quel caso sarebbero soppressi anche essi, risponde: «Che importa! Sarebbe pur così bello!». 

(...) E’ inutile voler cercare l'unità, nella sua produzione frammentaria e contraddittoria. Lo vediamo anche per la guerra. La guerra che «è per la civiltà quello che é il sonno e l'inverno» dai quali l'uomo esce «più forte al bene e al male», la guerra che è necessaria allo Stato « come la schiavitù alla società», «rende stupido il vincitore e maligno il vinto».

(...) Il Superuomo è una necessità sociale. E il perché è espresso in questi aforismi: 

«Gli spiriti più gagliardi e malvagi hanno sinora fatto massimamente progredire l'umanità; essi hanno destate le passioni assopite, eccitato il senso della comparazione, del contrasto, del piacere al nuovo, all'ardito, al mai provato. Gli uomini buoni di ogni tempo sono quelli che coltivano sino in fondo le vecchie idee. Ma il terreno finisce coll'essere sfruttato ed allora si rende necessario l'aratro del male. Gli istinti cattivi servono in così alto grado e sono tanto indispensabili al mantenimento della vita, quanto i buoni; solo la loro funzione è diversa. 

Facendo bene e male agli altri l'uomo esercita su questi la propria "potenza": nulla di più. Più efficace è il far male, perché il dolore induce sempre a chiedere quale ne sia la causa, mentre il piacere suole sostare a compiacersi di se stesso. Le nature fiere amano i nemici prodi. La compassione invece è il mezzo con cui nature modeste fanno facili conquiste, quali quelle delle anime addolorate». 

Se il Superuomo ha, come «l'Unico» stirneriano, una missione sociale, non per questo lo si può far entrare nel socialismo, come brillantemente, ma molto superficialmente, hanno sostenuto lo Jaurés ed il Roberty.

La concezione etica e sociale del Nietzsche è antisocialista. E ancor più è in antitesi con l'anarchismo.

Che tra uomo e uomo vi siano abissi, che vi sia una morale dei padroni ed una degli schiavi, che possano coesistere due civiltà distinte, ed interamente diverse è roba da alcoolisti della filosofia e da letterati della politica. Solo Nietzsche, che si autodefiniva il «Don Giovanni  della conoscenza», poteva ricucinare in salsa darwiniana gli Eroi del Carlyle.

Non slargherò il campo dell'esame critico. Credo che basti il porre in rilievo le fondamentali posizioni antitetiche dell'anarchismo e dell'individualismo nietzschiano. Prima quella storica. Per noi il Superuomo nietzschiano o è un fantoccio da romanzo o è un tiranno storico: re, principe o demagogo. Costui ha i difetti dei più, del <<gregge>>. E non ha le virtù degli uomini che non s’impaludano ma che faticano, osano, si sacrificano nella grigia anonimia della folla, al piccolo lume di una grande salvezza.

Il dominatore ha sempre trovato i poeti, gli imbecilli e i servi, che l’hanno esaltato. Ma l’occhio dello storico vede sì queste cime che sono illuminate da quel sole morente che è la fama, ma vede che le cime non sono senza la montagna e che questa è la fatica, lo sforzo delle moltitudini.

(…) Non si vede, poi, come il Superuomo nietzschiano possa essere tale se la sua altezza non è data che dalla servile bassezza dei più.

E’ molto più facile, infatti, affermarsi nella vita, esteriormente, incuneando cioè la volontà di dominio nelle debolezze e bassezze dei più, che affermarsi interiormente, trasformando la nostra personalità secondo un ideale di vita. Dominare gli altri significa far nostre quelle deficienze e deviazioni morali che fanno sì che gli altri siano dominabili.

(…) Il Superuomo è un termine usato dal Nietzsche per indicare l’uomo ideale contrapposto a quello comune. L’uomo comune è colui che vive contento, o meschinamente malcontento, della sua piatta vita quotidiana. Che non cerca di uscire dalla cerchia delle sue abitudini, dei suoi piaceri, delle sue aspirazioni. Qualsiasi idealismo respinge tale uomo. Ma è un errore quello di considerare, come fa il Nietzsche, la vita quotidiana, la normalità dell’individuo come campi chiusi al sublime. A ragione il Croce domanda, scrivendo della <<morale eroica>>: è essa poi qualcosa di più di una bella frase? Ed osserva che nella morale comune c’è quanto occorre per essere eroi, e che la morale eroica è un eufemismo per designare un atteggiamento che è insieme dilettantismo e sensualità.

(…) Coloro che non fanno nulla perché quel poco che potrebbero fare quotidianamente par loro cosa trascurabile, coloro che non compiono le piccole buone azioni perché sognano, e si illudono di volere, le grandi, generose, sublimi azioni, sono dei Superuomini da operetta.

(…) Una vita di quotidiani sforzi di volontà e di quotidiane esperienze di dolore e di amore vale certo più dei sogni infingardi dei Superuomini, che si credono tali solo perché non sanno, non vogliono essere <<uomini>>.

(…) Il vero individualista non cerca di comunicare agli altri la sua concezione della vita e della società. Quegli individualisti che non fanno che sbraitare <<Io sono l’Unico, io disprezzo l’umanità, ecc.>> fanno pensare a quegli scettici che dubitano del pensiero e scrivono volumi di filosofia. Se di questi <<Unici>> non ne avessimo nelle nostre fila e non fossero così invadenti, non ne parlerei. Ma poiché vi sono dei sedicenti anarchici che credono di poter conciliare le fantasie poetiche di Nietzsche con l’anarchismo quel è nei suoi più genuini filosofi: dal Proudhon al Guyau, veniamo a loro.

(…) Per gli individualisti l’anarchismo non è che <<un mezzo di agitazione dell’individualismo>>, com’è detto nella Volontà di potenza.

Qui si impone un dilemma. O gli individualisti aspirano a diventare dei Superuomini in senso nietzschiano, ed allora non hanno a che fare con un movimento che tende a realizzare una società ed un tipo umano che sono ben lontani dal mondo di Zarathustra. O gli individualisti sono dei bravi ragazzi che non possono rinunciare alle belle frasi e non riescono ad uscire dal mondo dipinto del… sublime, e allora cerchino di sistemare il loro pensiero.

Un individualista, il Pallante, nel suo libro La sensibilità individualista, riconosce la inconciliabilità dell’anarchismo con l’individualismo, dicendo: <<L’anarchismo crede al progresso. L’individualismo è una attitudine di pensiero che si potrebbe chiamare non storica. Esso nega il divenire, il progresso. Vede il voler-vivere umano sotto un eterno presente>>.

Basterebbe il pessimismo nietzschiano per escludere Zarathustra dall’anarchismo. Ma vi sono degli individualisti che ve lo fanno entrare. Ed invece di formarsi la loro strada cercano di disfare la nostra. Ma per fortuna la guerra ed il fascismo ci ha sbarazzato di molti Superuomini! Siamo rimasti sulla breccia noi, senza lirismi e senza trampoli. Cerchiamo di approfittarne per dare luce al nostro pensiero e direzione alla nostra volontà”.