MASSACRO NELL’AMAZZONIA PERUVIANA

Giovedì 9 aprile 2009 i dirigenti di 1350 comunità amazzoniche
dichiararono l’inizio di un blocco indefinito in tutta l’Amazzonia
peruviana, come forma di protesta contro la politica neoliberalista del
governo e in particolare contro una serie di decreti legislativi emanati
dal governo aprista di Alan Garcia Perez, volti a favorire l’investimento
privato nella foresta amazzonica, in particolare quelli di imprese
petrolifere e di biocombustibili. Tali decreti legislativi attentano ai
diritti riconosciuti ufficialmente ai popoli indigeni e si impongono sulla
volontá di questi, senza minimamente consultarli. Nel 2008 contro questi
stessi decreti le popolazioni indigene dell’Amazzonia peruviana diedero
vita a una protesta nazionale per piú di un mese, bloccando le vie di
accesso alla
foresta amazzonica e i principali interessi economici della regione (pozzi
e pompe petroliferi, gasdotti, centrali idroelettriche). Tale protesta fu
sospesa per l’impegno del governo di derogare i decreto. Nonostante
ció, i decreti non furono derogati e lo Stato continuó la sua politica di
favorire l’estrazione, concendendo diritti a multinazionali anche nelle
terre titolate alle popolazioni indigene. Cosí le differenti
organizzazioni indigene dell’Amazzonia peruviana, riunite a livello
nazionale nell’associazione AIDESEP (Asociación Iteretnica de Desarrollo
de la Selva Peruana) ricominciarono la loro protesta determinata e
pacifica, con la stessa strategia: paralizzare le attivitá economiche
delle imprese presenti nella regione, occupando punti strategici e
bloccando le vie di comunicazione. Il blocco è andato avanti in modo
forte e compatto in quasi tutta l’Amazzonia peruviana, le differenti
etnie hanno dimostrato una forte unione e solidarietá. Il governo ha
reagito in varie occasioni con l’indifferenza, la repressione e la
criminalizzazione, utilizzando
da una parte i suoi apparati di morte (militari e polizia) e dall’altra
i suoi fedeli servi professionisti nel distorcere l’informazione e
occultare la veritá (televisioni e giornali), tutto questo in difesa dei
soliti interessi economici che si impongono in tutto il mondo sulla vita
della gente. Cosí ogni possibilità di dialogo è stata vana e, dopo aver
accusato il rappresentante di AIDESEP di sedizione e terrorismo, è
scattata una sanguinaria repressione.

Il 5 giugno 2009, dopo due mesi di lotta e resistenza indigena, lo Stato
decide il massacro: si bombardano i villaggi, si spara contro uomini, donne
e bambini. La gente che si era dichiarata disposta a morire per difendere
le sue terre, la sua cultura, la sua vita, resiste a testa alta. Il
risultato dell’azione dello Stato è un bagno di sangue, solo il primo
giorno si contano 30 vittime e oltre 100 feriti, un numero che potrebbe
essere molto maggiore se si considera che i militari stanno bruciando i
corpi delle vittime affinché non si possano contare i morti e che i mezzi
di comunicazione non hanno accesso alle zone di conflitto. Le popolazioni
indigene non cederanno all’offensiva assassina dello Stato. La
solidarietá e forte in tutta la regione e si allarga ad altri settori
della societá: contadini non indigeni, lavoratori delle cittá
amazzoniche, organizzazioni locali, missionari.


Perché lottano i popoli indigeni?

I popoli indigeni e i loro territori si appartengono reciprocamente, sono
inseparabili. Per gli indigeni il territorio è l’embrione que diede
inizio alla loro esistenza. La relazione dell’indigeno con il suo
territorio è vitale, infatti questo gli fornisce alimentazione, casa e in
quello gli si permette di riprodurre la sua cultura. Senza territorio non
c’è vita. Per la societá occidentale, la terra gli appartiene quando
dispone di un titolo di proprietá , per gli indigeni il proprietario è
“la madre della terra”. Gli andini la riconoscono come la Pachamama,
gli Shuar come Nugkui, gli Ashanika come Kipatsi, e cosí ogni popolo.

Per il mercato la terra acquisisce importanza monetaria ed è negoziabile,
per gli indigeni ha importanza spirituale ed è sacra. Nella cosmovisione
amazzonica non è esatto il termine “terra” ma quello di
“territorio”, con un concetto più ampio di intergrità come bene
collettivo in interdipendenza con la natura. Molti popoli amazzonici hanno
basato la loro alimentazione sulla raccolta e il nomadismo e non
sull’accumulazione di ricchezze. La tendenza attuale a promuovere la
monocoltivazione in aree estense genera una maggiore fragilità dei suoli,
cosí come le attività estrattive di acque, petrolio e gas, con un
catastrofico impatto ambientale. Attualmente l’Amazzonia peruna ha 49
milioni di ettari di terra in concessione all’esplorazione e allo
sfruttamaento di idrocarburi, corrispondenti al 72% di questo territorio.

I decreti in questione

I decreti legislativi si impongono nell’ambito del Trattato di Libero
Commercio firmato con gli Stati Uniti, trascurando le leggi internazionali
che il Perú ha sottoscritto che stabiliscono il rispetto dei diritti
indigeni e il loro diritto a essere interpellati per questioni che li
riguardano, sanciti in particolare dall’Accordo 169 dell’Organizzazione
Internazionale del Lavoro firmato nel 1989 (Nazioni Unite).

Decreto 994: promuove investimenti privati in progetti di irrigazione per
l’ampliamento della frontiera agricola. Considera di proprietá dello
Stato tutte le terre irrigate di uso agricolo. Nell’Amazzonia le terre
lungo i fiumi servono da fonte di sussistenza per le comunità, mentre lo
Stato le considera terre improduttive da sfruttare.

Decreto 1020: Promuove i prodotti agrari e la consolidazione della
proprietá rurale per il credito. Stabilisce un marco normativo per
ampliare l’accesso al credito agrario e incentivare la competizione e la
modernizzazione. Favorisce la formazione di proprietà individuale, la
parcellizazione e la disintegrazione della proprietá comunale.

Decreto 1064: Stabilisce un regime giuridico per lo sfruttamento di terre
di uso agrario. Elimina il diritto che stabilisce come necessaria la
negoziazione con la comunità, affinché si realizzino attivita minerarie o
idrocarburifere in territorio comunale senza il consenso della comunità.

Decreto 1081: Crea un sistema nazionale di gestione delle risorse idriche e
rappresenta un passo avanti verso la privatizzazione dell’acqua, risorsa
fondamentale per la vita dell’Amazzonia. Si impone contro i diritti
ancestrali delle comunitá suil territorio e contro le convenzioni
internazionali.

Decreto 1089: Cambia la normativa per la formalizzazione e la titolazione
di terre rurali, favorendo la proprietà individuale rispetto a quella
comunale, favorendo il loro inserimento nel mercato economico.

Decreto 1090: È forse il più grave fra tutti i decreti. Approva la Legge
Forestale e della Fauna Silvestre. Pretende di modificare la legislazione
forestale, privando della definizione di “patrimonio forestale” circa
45 milioni di ettari di terra, o sia il 60% delle terre dell’Amazzonia
peruviana. In questo modo è possibile sfruttare terre che prima erano in
un certo modo protette. Dietro a tale decreto ci sono gli accordi del
governo con gli imprenditori che vogliono investire nella produzione di
etanolo e biocombustibili vari. Non sono solo i mezzi di vita dei popoli
indigeni quelli che stanno in gioco. La produzione di agro-biocombustibili
ha favorito una concentrazione di ricchezza e proprietà senza precedenti,
affidando la terra alle mani di poche imprese multinazionali che
controllano i semi, la coltivazione di
viveri, gli agrochimici, il processamento, il commercio le esportazioni e
la distribuzione. I piccoli produttori sono privati di terre di alimenti,
di sussistenza e di mercato, mentre i suoli, i boschi, i corsi d’acqua e
gli ecosistemi sono saccheggiati e devastati.

Decreto 1083: Promuove lo “sfruttamento efficente” e la
“conservazione” delle risorse idriche da parte degli usuari che hanno
maggiori risorse economiche emaggior accesso alle moderne tecnologie di uso
dell’acqua, concedendo premi di diritto all’acque in base a un regime
differenziato di
redistribuzione economica.

da Nodo Solidale - http://www.autistici.org/nodosolidale/