Le pensioni di Salò
di Enzo Collotti
Alla vigilia della cessazione dell'attività parlamentare della
legislazione prossima a spirare i nostri postfascisti non vogliono
perdere l'occasione per lanciare un ultimo velenoso messaggio destinato
a infliggere una nuova lesione all'identità resistenziale della nostra
repubblica. La riproposizione al Senato del progetto di un provvedimento
legislativo tendente al riconoscimento della qualifica di militari
belligeranti per coloro che nel periodo 1943-45 prestarono servizio
sotto le bandiere della Repubblica sociale non deve passare sotto
silenzio.
Non si tratta di un banale provvedimento di ordinaria amministrazione ma
di una ennesima insidiosa manovra equiparabile ad un vero e proprio atto
eversivo. Obiettivo dell'iniziativa è infatti arrivare a fare sancire
dal parlamento della repubblica l'equiparazione tra i combattenti della
Rsi e i combattenti per la libertà della Resistenza: un risultato che
equivarrebbe ad una sorta di suicidio ideologico del parlamento
repubblicano, indotto da una maggioranza priva di senso storico e di
responsabilità civica a smentire le proprie origini. Soltanto
l'insensibilità istituzionale e l'indifferenza ai valori su cui è stata
costruita questa repubblica potrebbero consentire un esito positivo
all'iniziativa in questione. Ci si potrebbe anche domandare se i n un
paese più attento alla memoria delle proprie origini e meno incline a
ipocrisie perdoniste il presidente del Senato non avrebbe dovuto
dichiarare irricevibile una proposta di legge che mira a rinnegare i
valori su cui è stata fondata la rinascita democratica dell'Italia dopo
il fascismo. Si tratta fra l'altro di una iniziativa che nasce anche da
premesse false e menzognere, come se la repubblica democratica non
avesse dato mai prova di indulgenza nei confronti dei combattenti della
Rsi. Sul numero 65 (maggio-giugno del 2005) della rivista Passato e
Presente un attento studioso dei nostri ordinamenti militari, Agostino
Bistarelli, ricorda le sanatorie e i benefici che non sono stati
lesinati nei fatti ai militari della Rsi negli scorsi decenni, al punto
che molti di essi furono riassunti in servizio nelle forze armate della
repubblica: di quanti partigiani si potrebbe dire altrettanto?
E' evidente che con il provvedimento ora in agenda non si intendono
tutelare posizioni individuali ma proporre un provvedimento generale
destinato a capovolgere un paradigma interpretativo di fondamentale
importanza per l'identità della repubblica antifascista. Il significato
infatti del disegno di legge non è di risarcire nessuno: il centro del
problema è quella di riabilitare i combattenti della Rsi e attraverso di
essi l'intera esperienza della Repubblica sociale di Mussolini. E
contemporaneamente, così facendo, si realizza la delegittimazione della
Resistenza e della Repubblica che ne è stata l'esito. A questo punto
giungerebbe a conclusione anche il processo di lento svuotamento dei
contenuti antifascisti della Repubblica tenacemente perseguito dai
cosiddetti postfascisti al governo con l'indifferenza ideologica e il
consenso di una maggioranza insensibile ai valori e interessata soltanto
alla conquista di posizioni di potere senza alcuna pregiudiziale etica
né politica.
La posta in gioco non è di poco conto. Non si tratta di salvaguardare
prerogative amministrative e piccoli benefici per pochi ma di una
questione di principio, che non investe come surretiziamente vorrebbe
dare a intendere l'intitolazione del progetto di legge soltanto
l'esercito della Rsi, che già di per sé sarebbe grave, ma il complesso
delle forze armate della Repubblica sociale, come risulta dalla
relazione che accompagna il disegno di legge dalla quale traspare
esplicita l'intenzione di ricevere un certificato di buona condotta per
i comportamenti di quanti dopo l'8 settembre del 1943 si sono schierati
dalla parte di Mussolini e del Terzo Reich. Non si tratta soltanto di
ristabilire le coordinate storiche degli eventi di allora ma anche di
capire quale memoria si vuole trasmettere con l'autorità di una sanzione
parlamentare. Ancora una volta tornano a galla i problemi sollevati
dall'ambiguità di chi ha continuato a perseguire ad ogni costo una
memoria condivisa di fronte all'arroganza dei nostri postfascisti (ma
poi, perché post?), che oltre a volersi presentare come vittime della
repubblica democratica, che ha lasciato loro fin troppo spazio
consentendo a fior di manigoldi della Rsi di sedere precocemente negli
organismi rappresentativi della nostra repubblica, vogliono oggi
prendersi la rivincita sulle forze che hanno restituito la libertà a
questo paese. Per costoro nessun atto conciliatorio della repubblica
sarebbe stato mai sufficiente a mettere a tacere le rivendicazioni di
orgoglio patriottico di quanti dopo l'8 settembre hanno scelto di
continuare la lotta dalla parte dei nazisti. Dall'amnistia Togliatti ai
molti atti di clemenza scaturiti dalle sentenze di una magistratura
anche troppo incline a minimizzare la drammaticità di comportamenti
criminali a carico di seviziatori di partigiani, di delatori di ebrei e
antifascisti, di responsabili di deportazioni risoltesi nella più parte
dei casi in viaggi senza ritorno ai campi di sterminio: è su questo che
bisognerebbe riflettere prima di considerare normale che gli eredi di
questo torbido passato si possono arrogare il diritto di fare il
processo alla Resistenza e di portare a conclusione la loro resa di
conti con l'antifascismo e con le origini resistenziali del nostro
stato.
Bisogna smetterla di indulgere ad atteggiamenti che volendo essere
equanimi finiscono per essere equidistanti o peggio, come se si
trattasse di giustapporre combattenti al di qua e al di là della linea
di demarcazione rappresentata dal fronte alleato e dal fronte
nazifascista. Non è un caso che gli studi che negli ultimi anni si vanno
moltiplicando sulla Rsi (da Ganapini a Gagliani, da Germinario ai più
recenti e più giovani) analizzano con particolare evidenza la
specificità della violenza esercitata dai corpi armati (non solo
esercito, ma Gnr, bande e polizia, SS) della repubblica di Salò, ben al
di là di una rinnovata insorgenza neosquadristica. Non di violenza cieca
o folle si deve parlare ma di premeditata violenza politica e
ideologica, come è stato opportunamente sottolineato. Era questa la
lezione appresa dal nazismo, con la guerra di sterminio all'est e lo
sterminio degli ebrei, che le forze armate e il fascismo di Salò si
studiarono di imporre anche in Italia dopo l'8 settembre: è di questo
che si deve parlare quando si discute dell'equiparazione di combattenti
di Salò e di partigiani e non della retorica di fedeltà all'alleanza con
la Germania nazista o di cuore e orgoglio patriottico. E' anche per
questo che la sfida lanciata ai parlamentari del centro-sinistra e
almeno in parte della stessa maggioranza dagli irriducibili del
neofascismo può essere battuta soltanto con una convinta battaglia di
civiltà e di cultura ispirata alla consapevolezza dei valori che allora
si contrapposero e che oggi ancora rappresentano i connotati distintivi
di una cultura politica democratica.
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