Jiddu Krishnamurti e
David Bohm
I limiti del pensiero, Roma, Armando, 2009
Jiddu Krishnamurti (1895-1986) fu un pensatore di origine
indiana; il tema di fondo della sua ricerca è stata la liberazione dall'autorità,
dall'accettazione passiva di qualsiasi dogma. Il suo pensiero e le sue numerose
opere - che continuano ancora ad essere pubblicate (a volte senza badare alle
ripetizioni presenti) - non contengono un corpus
dottrinale, né delle tecniche atte a realizzare la liberazione di cui si
parla. Viaggiò molto Krishnamurti, incontrando e dialogando con diverse
persone. Fra coloro con cui venne in contatto ci fu il fisico David Bohm
(1917-1992), già collaboratore di Einstein e ricercatore nel campo della
meccanica quantistica e della teoria della relatività; con lui strinse un
interessante sodalizio che si concretizzò in una serie di dialoghi fra i due,
raccolti successivamente in volume. Questi testi sono fra i più interessanti
all’interno della mole di pubblicazioni di e su Krishnamurti. Una ventina di anni
fa era già apparso un libro, dal titolo Dove
il tempo finisce (da Ubaldini), in cui i due discutevano del conflitto
umano e, a causa di ciò, della difficoltà di reperire una qualche soluzione al
punto da rischiare di condurre l’intera umanità e la Terra alle soglie di una
rovinosa svolta.
In questo volume, che raccoglie dialoghi avvenuti tra il
1975 e il 1980, la discussione tra i due sodali prende l’avvio da una
stringente indagine circa il rapporto tra realtà e verità. Quello che denominiamo
realtà, contrariamente all’opinione comune, è vista come mera apparenza, il prodotto
di uno sguardo deformato e abitudinario. Dice Bohm, incontrando l’approvazione
del suo interlocutore: “Cerchiamo una sostanza, qualcosa che rimane sotto le
apparenze. La cerchiamo nella realtà. E’ stata la perenne consuetudine di
cercare qualche realtà solida e permanente che è alla base di tutti i
cambiamenti che a loro volta vengono determinati in modo comprensibile. Ma può
anche essere che l’insieme della realtà non sia sostanza.”
La verità è ciò che
è. E ciò che è non dev’essere
confusa con la realtà, la quale è solo un campo, “una funzione all’interno
dell’operazione della verità”. Con le parole di Krishnamurti: “La realtà è una
cosa. La verità non è una cosa, quindi non è niente” (non-ente). E ancora; “La
verità possiede una propria vitalità, un proprio movimento. E’ una domanda
sbagliata per me chiedere che posto abbia la verità nella realtà”. La verità
semplicemente si mostra come intera e indivisibile: in essa l’azione, la percezione,
il pensare e la compassione formano un tutt’uno incorruttibile.
Non si può qui non rammentare il celebre discorso di
Krishnamurti, tenuto in Olanda nel 1929, che segnò una svolta definitiva nel
suo percorso. Riportiamo quelle parole: “Ritengo che
la verità sia una terra senza sentieri e che non si possa raggiungere
attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola. Questo è il mio
punto di vista, e vi aderisco assolutamente e incondizionatamente. La verità,
essendo illimitata, non è raggiungibile attraverso alcun sentiero, non può
venire organizzata, né si dovrebbe formare alcuna organizzazione per condurre o
costringere gli altri lungo una particolare via. Se comprendete questo, vedrete
come sia impossibile organizzare una fede. La fede è qualcosa di assolutamente
individuale, e non possiamo e non dobbiamo istituzionalizzarla. Se lo facciamo
diventa una cosa morta, cristallizzata; diventa un credo, una setta, una
religione che viene imposta ad altri”.
A partire da queste riflessioni ne seguono
poi altre. Sul rapporto tra tradizione e verità (Bohm: “Mi è venuta l’idea che
la tradizione sia una forma di danno cerebrale”; Krishnamurti: “La compassione
è fuori dal tempo, la verità è fuori dal tempo e la profondità da cui quella
compassione viene è fuori dal tempo. E quindi non è coltivabile”, in breve, non
può essere in alcun modo fatta crescere, non può essere il prodotto di una
tradizione o di una cultura). Sul desiderio (Bohm: “Il desiderio è un movimento
nel campo della realtà e prova a progettare in quel campo qualcosa che dovrebbe
essere appropriatamente fuori di esso”, rivelandosi coestensivo allo sviluppo e
alla dinamica del tempo: il desiderio è il tempo). Sulla forza liberatoria
dell’intuizione (Krishnamurti: “C’è qualcosa oltre tutto questo che non è mai
stato toccato dal pensiero umano, dalla mente?”, una nuda fede che non si
aggrappa ai contenuti delle credenze religiose?). Sul tempo (Ancora Bohm: “Il
tempo è una specie di piccolo movimento all’interno dell’infinito”).
Nel corso di un’intervista rilasciata alcuni anni prima
della morte, David Bohm aveva detto con lungimiranza: “Abbiamo bisogno di
imparare a dialogare gli uni con gli altri a causa di tutta la frammentazione
che c'è nel mondo”; questa arte di dialogare dev’essere prima di tutto un
invito “a sospendere le nostre opinioni e i nostri giudizi per riuscire ad
ascoltarci a vicenda”. Tale conditio sine
qua non la troviamo ben esplicitata proprio in questo volume. Ciò che va
colto e apprezzato non sono tanto le conclusioni a cui giungono i due
interlocutori - che abbiamo sinteticamente esposto e su cui è lecito che il
lettore possa dissentire - ma l’approccio messo in campo, che possiamo
condensare come un invito concreto a un’interrogazione continua, a una messa in
gioco sincera da parte dei soggetti coinvolti nella ricerca.
Federico
Battistutta
Da “La Stella del Mattino”, laboratorio
per il dialogo religioso, n.