di Francesco Berti da
A Rivista Anarchica novembre 2006
Salve.
Nel numero di “A” n. 320, Antonio Cardella ha sostenuto alcune tesi
che intendo qui discutere criticamente.
Anzitutto: egli reputa una «considerazione ovvia» il fatto che la
causa del recente conflitto israelo-libanese sia dovuta alla mancata formazione
di un vero Stato palestinese. A dire il vero, questa considerazione appare tutt'altro
che ovvia, dal momento che il programma politico di Hezbollah non è affatto
quello di contribuire pacificamente e costruttivamente all'edificazione di uno
Stato palestinese fondato sulla convivenza pacifica e il riconoscimento consensuale
di confini certi con Israele, bensì – come tutti i suoi leaders
non si stancano di ripetere – quello di distruggere l'“entità
sionista”, cioè di cancellare lo Stato ebraico. La verità
è che agli Hezbollah non interessa affatto la causa palestinese, se non
nel senso a cui è sempre interessata a tutti i movimenti fanatici e agli
Stati autoritari confinanti con Israele: per bassi fini di politica interna
ed internazionale, che hanno sinora nuociuto, piuttosto che giovato, alla causa
palestinese. Quanto alla «soluzione del problema dei profughi palestinesi»,
che Cardella sembra porre come conditio sine qua non della pace tra palestinesi
e israeliani, la considerazione più ovvia da fare è che finché
verrà agitata questa bandiera non sarà mai possibile far nascere
lo Stato palestinese, in quanto il ritorno dei profughi comporterebbe la fine
dello Stato di Israele.
Si tratta, cioè, di una condizione inaccettabile da parte israeliana,
come del resto i dirigenti palestinesi hanno sempre saputo e della quale si
sono serviti come strumento di prosecuzione della guerra per la cancellazione
di Israele con altri mezzi. Ciò è precisamente accaduto quando,
posti di fronte a vantaggiosi e onorevoli compromessi che avrebbero sancito
la nascita del loro Stato, come è accaduto a Camp David nell'estate del
2000, al fine di respingere le proposte di pace senza al contempo perdere la
credibilità internazionale, hanno appunto addotto a motivo del loro rifiuto
proprio la mancata accettazione israeliana di questa richiesta. Ed è
significativo che tra le condizioni per la soluzione del problema palestinese
Cardella ometta di ricordare il riconoscimento dell'esistenza dello Stato di
Israele da parte dei palestinesi, che prima l'Olp, sino a tempi recenti, ed
ora Hamas, hanno rifiutato e rifiutano con ostinazione di compiere.
In un altro punto, Cardella, per giustificare la sua opposizione all'invio di
truppe italiane in Libano, scrive: «È storicamente consolidata
la constatazione che l'intervento militare, comunque giustificato, non abbia
mai composto controversie che non siano state risolte dalla politica».
Anche questa affermazione pare tutt'altro che ovvia. Tra i tanti motivi che
possono essere evocati contro gli interventi militari e contro le guerre, questo
pare certo uno dei più deboli. Senza la guerra ad Hitler, ad esempio,
i nazisti avrebbero conquistato e soggiogato il mondo intero: la politica, vergognosamente
arrendevole, degli Stati europei – memento Monaco! – certo non aveva
già risolto il problema nazista, prima del conflitto, mentre è
stata propriamente la totale sconfitta militare dei nazisti a rendere possibile
la convivenza pacifica dei popoli in Europa. Facciamo un esempio più
recente: la guerra alla Serbia di Milosevic se non ha risolto, ha certo dato
un grande contributo alla risoluzione della politica espansionista e genocida
di questo Stato, e semmai la considerazione storicamente più ovvia da
fare in questo caso è che forse si sarebbe potuto – e dovuto –
intervenire prima.
Con ciò, ovviamente, non voglio certo farmi apologeta della guerra in
quanto tale o degli interventi militari in quanto tali: ripeto, voglio solo
dire che non è vero che non risolvono mai i problemi. Questo mi sembra
storicamente falso e del tutto infondato.
Cardella poi si dichiara contrario all'intervento militare dell'Italia in Libano
anche per un altro motivo. «L'ottica con la quale parte questa missione»
– scrive – sarebbe viziata da un «pregiudizio» verso
gli Hezbollah, con i quali, invece, occorrerebbe a suo parere dialogare. La
malcelata ammirazione di Cardella per queste formazioni fascistoidi e teocratiche
(«che così validamente si sono opposte all'invasione dell'esercito
con la stella di Davide», afferma compiaciuto) risulta abbastanza inspiegabile:
noto en passant che le stesse parole sono usate in Italia da Oliviero Diliberto,
uno che fa motivo di vanto quello di dialogare con tutti i dittatori e i movimenti
totalitari del mondo – purché, ovviamente, antiamericani –
da Fidel Castro a Kim Jong Il, passando, appunto, per gli Hezbollah.
Tre sono i motivi addotti da Cardella per sfatare il «pregiudizio»
contro gli Hezbollah: 1) hanno vinto regolarmente le elezioni; 2) sono fortemente
radicati sul territorio; 3) interpretano «le più autentiche esigenze
del popolo». Il fatto che un movimento vinca le elezioni non lo rende,
di per sé, un interlocutore credibile o desiderabile. Anche Hitler, se
è per questo, ha vinto le elezioni, nel 1933, e risulta strano questo
peana in favore della democrazia proprio quando a vincere le elezioni è
un movimento fascistoide e teocratico. Il fatto che gli Hezbollah abbiano vinto
le elezioni dovrebbe far riflettere – in primo luogo gli americani, principali
responsabili di questa confusione concettuale, che ha disastrose applicazioni
pratiche – sul fatto che la democrazia, senza istituzioni e cultura liberale
consolidate, non sono certo una garanzia di vivere civile e libero, ma solo
uno strumento di selezione delle élites, quali che siano. Che significa
poi dire che gli Hezbollah sono radicati sul territorio? Anche la mafia è
radicata sul territorio, ma non pare un motivo valido per aprire un dialogo
con essa. Infine, il fatto che Hezbollah interpreti le più autentiche
esigenze del popolo non pare certo una ragione persuasiva per instaurare una
proficua collaborazione. Il popolo non è una divinità da adorare
in ogni modo, le sue esigenze non sono di per sé condivisibili: Hitler,
Stalin, Mussolini, Pol Pot interpretavano, a loro modo, le esigenze più
autentiche dei loro popoli, o di una parte, più o meno consistente, di
essi, potendo contare su un consenso di massa. Sarebbe stato opportuno dialogare
anche con loro?
Secondo Cardella, l'ottica dell'intervento militare in Libano sarebbe altresì
falsata dal fatto che i politici europei, «sostenuti da una stampa schierata
a senso unico» pro Israele (par vero piuttosto il contrario, qui in Europa),
mentre chiedono ad Hezbollah di disarmare – cosa non vera: è stato
detto e ripetuto che Hezbollah deve essere disarmato dall'esercito libanese;
il che equivale a dire che esso non deve essere disarmato, poiché ovviamente
l'inconsistente esercito libanese mai si sognerà di disarmare le milizie
del “partito di Dio” –, non chiedono agli israeliani di ritirarsi
dai confini con Libano. E come potrebbero fare questa richiesta? Da quando in
qua si invita uno Stato a ritirare l'esercito dai propri confini? Perché
Israele dovrebbe farlo se, dopo che si è finalmente ritirato dal Libano,
ha ricevuto in cambio una caterva di missili, causa unica della guerra?
Prima di chiudere, ed omettendo di commentare altre affermazioni di Cardella
che lasciano perplessi, mi si permetta di soffermarmi su un altro concetto da
lui espresso. Egli rimprovera la diplomazia internazionale di non aver coinvolto
l'Iran e la Siria nel tentativo di «spegnere l'incendio mediorentale»,
con il «pretestuoso motivo che siano questi paesi ad armare la mano degli
Hezbollah». Strano concetto, che per spegnere un fuoco bisogna consultare
il piromane che l'ha appiccato! È o non è un fatto che Siria e
Iran hanno riempito di armi gli Hezbollah? Se lo è, come tutti gli osservatori
internazionali riconoscono, il motivo per cui queste dittature non sono state
coinvolte nei negoziati pare tutto fuorché pretestuoso.
Piuttosto dunque che dialogare con gli Hezbollah, credo che bisognerebbe dialogare
e aiutare tutte quelle formazioni non estremiste che pure in Libano ci sono,
e che la guerra con Israele ha avuto la conseguenza di ricompattare contro Israele.
Così come, piuttosto che dialogare con Iran e Siria, occorrerebbe aiutare
tutti quei gruppi di opposizione interni a questi Stati che lottano per la libertà
e la democrazia. Se non ricordo male, non sono passati molti anni dacché
un movimento studentesco si è coraggiosamente battuto in Iran contro
il regime teocratico ed oppressivo degli ayatollah.
Quanto all'intervento in Libano, devo dire che paradossalmente sono d'accordo
con Cardella, anche se per motivi opposti: penso che sia un intervento sbagliato,
in quanto i soldati lì inviati faranno parte degli utili idioti, rimanendo
inerti di fronte al nuovo riarmarsi degli Hezbollah preludio – assai probabile
– della prossima guerra.
Francesco Berti
(Bassano del Grappa)