Tecnologie conviviali
di Franco Buncuga

Dell'autocostruzione in Italia non si è mai parlato molto, forse un po' negli ultimi anni ma limitandosi a considerarlo un problema marginale e dai connotati folkloristici, una pratica in uso in culture periferiche e marginali e come pratica degna del Terzo Mondo, non certo proponibile in un paese a tecnologia avanzata.
Pochi dati bastano a ribaltare questo preconcetto diffuso: negli USA il 40% delle abitazioni in zona rurale sono costruite dai proprietari ed inoltre il 20% di tutte le nuove case unifamiliari. In Francia vengono autocostruiti ogni anno 20.000 alloggi. Secondo cifre dell'UNESCO un terzo delle costruzioni realizzate nel mondo sono autocostruite. Per l'Italia è difficile fare cifre, ma pensiamo a tutti quei casi di piccolo abusivismo, presenti soprattutto nel Sud e nelle zone economicamente più deboli dove la macchina della industrializzazione edilizia e delle speculazioni immobiliari non è ancora riuscita (o non ha ancora avuto interesse) ad arrivare.
Questi dati numerici li traggo dal libretto dei lavori preparatori al convegno di Rimini organizzato dal C.AB.AU., sul tema "Autogestione e tecnologie conviviali", fondamentale a mio parere per chi desidera avvicinarsi al problema. Il Collettivo per un Abitare Autogestito (con sede a Rimini in via Garibaldi 49) si pone come compito principale quello di analizzare, catalogare e mettere in contatto fra loro tutte quelle esperienze a carattere nazionale ed internazionale che si richiamano ad esperienze di autocostruzione e di autogestione dell'abitare. Creare insomma una rete di supporto e di scambio di esperienze e di conoscenze specifiche sul tema.
Si è espressa all'inizio del congresso una distinzione fondamentale, quella tra abitazione ed alloggio, intendendo per alloggio un'interpretazione riduttiva e funzionalistica delle esigenze dell'abitare, inteso come espressione complessa della creatività e cultura di un popolo o di una comunità. Le lotte per il diritto alla casa degli ultimi anni si sono espresse soprattutto attraverso la richiesta della legittimazione da parte del potere centrale del diritto alla casa intesa come alloggio, come spazio fisico, come bene di cui essere fruitori a pieno diritto. Esiste però un'altra maniera di porsi di fronte al problema casa, ed è quello di cui si è voluto discutere a Rimini. Il potenziale creativo delle classi e delle culture subordinate soprattutto per quanto riguarda l'intervento sull'ambiente viene celebrato solo quando si può storicizzare, quando è neutralizzato e svuotato delle sue possibilità fortemente specializzanti e naturalmente portate alla creazione di strutture di mutuo appoggio. Si tende a delegare agli organi appositi, ai tecnici, agli specialisti, quelle che sono sempre state nella storia le esigenze fondamentali degli individui e dei gruppi sociali, in questo caso la determinazione del proprio ambiente fisico, della propria casa, della struttura fisica della propria comunità, delle funzioni dell'abitare. Questo processo che un tempo si svolgeva attraverso una politica di tipo principalmente partecipativo è diventato di pertinenza esclusiva del tecnico.
Il Convegno tendeva fondamentalmente ad esplorare quali siano oggi gli spazi dai quali poter partire per la costruzione su altre basi, più comunitarie e libertarie, di una nuova forma di insediamento sul territorio che sia equilibrata e rispettosa delle diverse funzioni da attribuire all'abitare. Gli interventi in effetti sono stati numerosi e qualificanti, dimostrando una volta di più come questo processo di riappropriazione del territorio sia già in corso sia quantitativamente che qualitativamente in maniera inaspettata e dando ragione all'affermazione degli organizzatori che "si fa un convegno perché una realtà è già in atto: noi ce ne facciamo solo portatori".
In questo periodo la struttura del dominio cerca di rinnovarsi sfruttando strumentalmente la "crisi energetica", si riscopre anche che la piccola comunità, socialmente compatta ed organizzata è più funzionale per un uso equilibrato delle risorse: le megastrutture, la centralità sono sinonimi di spreco. Ed ecco ritornare l'interesse per l'organizzazione della comunità dall'alto come riduzione pianificata dei consumi in zone di interesse marginale per il sistema centrale. Nuova forma di dominio sul territorio dunque, ma anche contemporaneamente possibilità di apertura di nuovi spazi di intervento nel sociale, di nuove fessure per l'intervento sociale rivoluzionario in un sistema che deve crearsi nuovi strumenti di controllo alla periferia. Dobbiamo rompere le vecchie strutture, ma contemporaneamente occupare e riempire gli spazi rimasti provvisoriamente abbandonati dal potere centrale e non permettergli una riorganizzazione. Tutto questo per dire che la creazione sia fisica che sociale di strutture comunitarie marginali che debbono organizzarsi come alternativa rivoluzionaria in crescita sul territorio devono soddisfare alcune condizioni fondamentali, che prendo pari pari dall'intervento di J. Turner: autonomia della comunità, utilizzo di tecnologie conviviali, partecipazione, ma ne aggiungerei una a mio avviso la più importante: il rifiuto della legittimazione da parte del potere centrale sotto qualunque forma anche indiretta. Quest'ultimo punto non è stato preso abbastanza in considerazione dai partecipanti, che in realtà hanno quasi tutti espresso un ottimismo fideistico - quasi cattolico - sulla insindacabile positività dell'autocostruzione come pratica generalizzata e della creazione di strutture comunitarie basate sull'uso generalizzato di tecnologie conviviali, appropriate, dolci, etc.
Se non si lotta per un'autonomia reale si rischia di autocostruirsi e di autogestirsi il proprio ghetto, favorendo indirettamente la centralizzazione della struttura di dominio. Tra le relazioni riguardanti le esperienze concrete in atto in Italia quelle che mi sono sembrate le più interessanti sono quelle che riguardano il Friuli, il Belice ed in genere quelle che descrivevano situazioni eccezionali seguite a catastrofi. Di fronte alla necessità immediata di ricostruire le proprie città ed il proprio ambiente, le spinte al mutuo appoggio ed all'azione diretta e all'autocostruzione sono state immediate e questa spinta creatrice recuperata immediatamente da gruppi e persone che forse non avrebbero mai voluto sentir parlare in altri momenti di autocostruzione.