Cara ecologia,
di Murray Bookchin
Originariamente pubblicata su Comment e subito ripresa da Open Road (Canada) e Peace News (Inghilterra), questa "lettera aperta al movimento ecologista" di Murray Bookchin appare qui per la prima volta in italiano. Ci teniamo a precisare che in questo, come in altri saggi tradotti dall'inglese su "A" abbiamo ritenuto di tradurre il termine radical con rivoluzionario, per evitare gli equivoci che una traduzione più meccanica con il termine radicale avrebbe comportato.
Gli anni '80 saranno un periodo estremamente critico per il movimento
ecologico, sia negli Stati Uniti, sia in Europa. Il pericolo è quello di una
crisi di identità e di obiettivi, ed è in gioco la capacità del movimento di
adempiere alle fertili aspettative di soluzioni progressiste in alternativa
alla sensibilità dominante, alle istituzioni gerarchiche politiche ed
economiche e alle strategie manipolatorie per la trasformazione sociale, che
hanno provocato una frattura catastrofica tra l'uomo e la natura.
Per dirla senza mezzi termini: è probabile che nel prossimo decennio si
decida definitivamente quale sarà il ruolo futuro del movimento ecologico:
semplice appendice decorativa di una società intrinsecamente malate e
antiecologica, perennemente dilaniata dal conflitto tra la natura e
un'incontrollabile bisogno di dominazione, di controllo e di sfruttamento;
oppure, come speriamo, campo sempre più vasto di esperienza e di
apprendimento per una nuova società ecologica fondata sulla collaborazione
reciproca, sulle comunità decentralizzate, sulla tecnologia popolare e su
rapporti non-gerarchici, libertari, che realizzino una nuova armonia non
solo tra gli uomini, ma anche tra l'uomo e la natura.
Potrà forse sembrare presuntuoso che io, singolo individuo, rivolga un
appello a quell'ormai vasto gruppo di persone le cui attività sono ispirate
da un impegno in campo ecologico. Tuttavia, le mie preoccupazioni circa il
futuro del movimento ecologico non sono impersonali, né effimere. Per quasi
trent'anni ho affrontato nei miei scritti i problemi delle degenerazioni
antiecologiche in tutti i settori della vita del nostro paese. Inoltre, mi
sono battuto attivamente fin dal 1952 contro l'uso crescente degli
insetticidi e degli additivi alimentari; nel 1954 ho denunciato il rischio
del fallout nucleare dopo l'esplosione sperimentale della prima bomba
all'idrogeno nel Pacifico; nel 1956 ho denunciato il rischio di inquinamento
radioattivo dopo l'"incidente" al reattore nucleare della centrale di
Windscale; nel 1963 mi sono battuto contro il progetto di Con Edison per la
costruzione della più grande centrale atomica del mondo nel centro della
città di New York. In seguito ho fatto parte di gruppi anti-nucleari come
quello di Clamshell e Shad e come Ecology Action East, suo immediato
predecessore (del quale nel 1969 scrissi anche il manifesto: The Power
to Destroy, The Power to Create), oltre che del Citizens Committee on
Radiation Information, che nel 1963 fu uno dei protagonisti dell'azione di
protesta che portò alla cessazione dell'attività del reattore nucleare di
Ravenswood. Credo, perciò, che il movimento ecologico possa considerarmi
qualcosa di più che un intruso o un novellino. Le osservazioni contenute in
questa lettera sono il frutto di una vasta esperienza personale e di una
giustificata preoccupazione per la sorte delle idee alle quali per decenni
ho dedicato grande attenzione.
Sono convinto che il mio lavoro e la mia esperienza in tutti i campi
dell'impegno ecologico avrebbero scarso significato, se si limitassero ai
problemi in sé, per quanto ciascuno di essi sia importante. Dire "NO" al
nucleare, o agli additivi alimentari, all'industrializzazione
dell'agricoltura, alla bomba atomica non è sufficiente, se limitiamo il
nostro orizzonte affrontando isolatamente ciascun problema. È ugualmente
importante individuare e svelare le cause sociali, i valori e i rapporti
inumani che hanno portato alla creazione di un pianeta già profondamente
intriso di veleni.
Ho sempre pensato che ecologia fosse sinonimo di ecologia sociale e
perciò ho sempre nutrito la convinzione che la stessa idea di dominare la
natura derivi dalla dominazione dell'uomo sull'uomo, o dell'uomo sulla
donna, del vecchio sul giovane, di un gruppo etnico su un altro, dello stato
sulla società, della burocrazia sull'individuo, così come di una classe
economica su un'altra e dei colonizzatori sui colonizzati. A mio avviso,
l'ecologia sociale deve iniziare la lotta per la libertà non solo in
fabbrica, ma anche nella famiglia; non solo nell'economia, ma anche nella
psiche; non solo nelle condizioni materiali di vita, ma anche in quelle
spirituali. Se non interverremo modificando anche i rapporti molecolari
all'interno della società - e cioè quelli tra uomo e donna, tra adulti e
bambini, tra gruppi razziali diversi, tra etero ed omosessuali (l'elenco
potrebbe continuare a lungo) - il problema della dominazione resterà
immutato anche in una forma sociale "senza classi" e "senza sfruttamento". E
la società sarebbe intrisa di gerarchismo anche se celebrasse i dubbi valori
della "democrazia popolare", del "socialismo" e della "proprietà collettiva"
delle "risorse naturali". Finché durerà la gerarchia e finché la dominazione
organizzerà l'umanità in un sistema elitario, l'obiettivo del dominio sulla
natura non verrà mai abbandonato e condurrà inevitabilmente il pianeta
all'estinzione ecologica.
Il nuovo movimento delle donne, ancor più della controcultura, della
crociata per una tecnologia "appropriata" e del movimento antinucleare (dal
quale escluderei però la frangia dell'"Earth Day", con le sue sortite
repulistiche) mira al cuore della dominazione gerarchica che alimenta la
nostra crisi ecologica. Il movimento ecologico potrà realizzare tutta la sua
ricca e multiforme potenzialità di trasformazione della società
antiecologica e dei suoi valori solo se la controcultura, il movimento per
una tecnologia alternativa e il movimento antinucleare si fonderanno sulla
sensibilità e sulle strutture non-gerarchiche che risultano soprattutto
evidenti nelle tendenze veramente rivoluzionarie del femminismo. Infine, il
movimento ecologico potrà conservare intatta la sua funzione di espressione
di un nuovo equilibrio tra uomo e natura e il suo obiettivo di una società
veramente ecologica solo se coltiverà coscientemente una
sensibilità, una struttura e una strategia per la trasformazione sociale
non-gerarchica e aliene dal concetto di dominazione.
Oggi questa funzione e questo obiettivo sono seriamente minacciati.
L'ecologia è diventata una disciplina alla moda, direi quasi bizzarra, e la
frivola popolarità di cui gode ha fatto nascere un nuovo tipo di maniaco
dell'ambiente. Da una prospettiva e da un movimento che perlomeno facevano
sperare nella possibilità di una lotta contro la gerarchia e la dominazione
è nata una forma di ambientalismo fondato non sulla volontà di modificare le
istituzioni, i rapporti sociali, le tecnologie e i valori esistenti, bensì
sulla volontà di rabberciarli alla meglio. In questo senso uso il termine "ambientalismo"
per significare un fenomeno in contrasto con l'ecologia, e in particolare
con l'ecologia sociale. Mentre l'ecologia sociale mira all'eliminazione del
concetto della dominazione dell'uomo sulla natura attraverso l'eliminazione
della dominazione dell'uomo sull'uomo, l'ambientalismo è il riflesso di una
sensibilità "strumentale" o tecnica, che considera la natura un semplice
habitat passivo, un agglomerato di forze e di oggetti esterni, e si pone il
fine di renderla più "utile" all'uomo, senza curarsi troppo di quale uso
egli intenda farne. Di fatto, l'ambientalismo si riduce a mera ingegneria
ambientale, e non affronta il problema cruciale della società in cui
viviamo: la volontà dell'uomo di dominare la natura. Al contrario, mira a
rendere più facile questa dominazione eliminando i rischi che essa potrebbe
comportare. Gli stessi concetti di gerarchia e di dominazione sfumano
dinnanzi all'enfasi tecnicistica posta sulla ricerca di fonti energetiche
"alternative", cioè sui progetti strutturali per il "risparmio" di energia;
dinnanzi ai modi di vita "semplici" che si identificano con i "limiti alla
crescita" e che rappresentano ormai a buon diritto un'industria enormemente
crescente - infine, naturalmente, dinanzi al proliferare dei candidati
"ecologisti" alle elezioni politiche e addirittura dei partiti "ecologici",
il cui scopo non è solo quello di dominare la natura, ma anche quello di
indirizzare l'opinione pubblica sui binari di un atteggiamento accomodante
nei confronti del sistema sociale esistente.
La moda dell'ecologia
Il satellite solare "ecologico" di 24 miglia quadrate di Nathan Glazer,
le astronavi "ecologiche" di O'Neill e i giganteschi mulini a vento
"ecologici" del DOE (tanto per citare gli esempi più macroscopici della
mentalità ambientalista) non sono in realtà più "ecologici" delle centrali
nucleari o dell'industrializzazione dell'agricoltura. Anzi, le loro pretese
"ecologiche" sono più dannose, perché ingannano e disorientano la gente. Le
ciance su una nuova "era della terra", o del sole o del vento, così come la
futile retorica dei produttori di pannelli solari e degli inventori
"ecologici" alla frenetica ricerca di un brevetto, riescono solo a
nascondere la realtà dei fatti: e cioè che l'energia solare o eolica,
l'agricoltura organica, il culto della salubrità e le conversioni alla
"semplicità" modificheranno in modo quasi impercettibile lo squilibrio tra
l'uomo e la natura, se continueranno a esistere la famiglia patriarcale, le
multinazionali, le strutture politiche burocratiche e centralizzate, il
sistema della proprietà privata e la razionalità tecnocratica che oggi
prevalgono ovunque. L'energia solare, l'energia eolica, il metano, l'energia
geotermica resteranno sempre e soltanto fonti di energia, finché i
mezzi per utilizzarle saranno inutilmente complessi, controllati in modo
burocratico, proprietà di monopolio o centralizzati in forme istituzionali.
Certo, il danno che provocheranno alla salute degli esseri umani sarà assai
minore di quello prodotto potenzialmente dalle centrali nucleari e dai
combustibili fossili; tuttavia, la salute spirituale, morale e sociale
dell'umanità subirà ugualmente un danno se le si considererà semplici
tecniche, incapaci di generare nuovi rapporti tra l'uomo e la natura e
nell'ambito stesso della società. Il progettista, il burocrate, il dirigente
aziendale e il politico di carriera non arricchiscono la società e la nostra
sensibilità verso la natura in senso ecologico perché seguono una via
energetica "dolce"; come tutti i "tecnocritici" (per usare un appellativo
che Alory Lovin adottò per definire se stesso in una conversazione con il
sottoscritto), costoro tentano semplicemente di sminuire o di occultare i
pericoli per la biosfera e per la vita umana costringendo le tecnologie
ecologiche nella camicia di forza dei valori gerarchici, invece di criticare
i valori e le istituzioni di cui sono rappresentanti.
Gerarchia e dominazione
Alla stessa stregua, anche la decentralizzazione perde ogni significato,
se non presuppone una dimensione più umana e fa invece propri i concetti
dell'accumulazione logistica delle scorte e del riciclaggio. Se il nostro
obiettivo per la decentralizzazione sociale (o, come amano dire gli
"ecologi" politici, per la ricerca di un equilibrio tra centralizzazione e
decentralizzazione) consiste nell'approvvigionamento di "alimenti freschi" e
nella possibilità di "riciclare i rifiuti", nel ridurre i "costi di
trasporto" o nell'"incrementare" il controllo popolare totale e completo)
sulla vita sociale, allora il concetto stesso di decentralizzazione perde il
significato ecologico e libertario che la caratterizza come creazione di una
rete di comunità libere e naturalmente equilibrate, fondate sulla democrazia
diretta e sulla piena realizzazione dell'individuo, cioè sulla possibilità
di gestirsi ed agire in quella piena e totale autonomia che è una componente
vitale nella realizzazione di una società ecologica. Come la tecnologia
alternativa, anche la decentralizzazione si riduce a mero artificio tecnico
finalizzato all'occultamento della gerarchia e della dominazione. Gli ideali
"ecologici" di un "controllo municipale del potere", di una
"nazionalizzazione dell'industria", per non parlare di concetti vaghi come
quello di "democrazia economica", sembrano porre in forse il sistema dei
profitti e delle corporazioni industriali, ma in realtà non scalfiscono il
sistema di controllo sociale. Infatti, una struttura corporativa
nazionalizzata resta pur sempre una struttura burocratica e gerarchica.
Come individuo che per decenni si è interessato, impegnato e battuto per i
problemi ecologici, mi rivolgo agli ecologi più seri e consapevoli nella
speranza di sensibilizzarli a un grave problema che affligge il movimento.
Per esprimere le mie preoccupazioni nel modo più esplicito e diretto
possibile: temo il diffondersi di una mentalità tecnocratica e di un
opportunismo politico che minacciano di sostituire all'ecologia sociale una
nuova forma di ingegneria sociale. Per un certo periodo il movimento è parso
ben avviato verso la realizzazione del suo potenziale libertario e
non-gerarchico. Rinvigorito dalle nuove tendenze progressiste del movimento
femminista, omosessuale, comunitario e rivoluzionario, il movimento
ecologico sembrava finalmente pronto a concentrare le proprie forze nel
tentativo di trasformare le strutture basilari della società anti-ecologica,
e non semplicemente nel tentativo di trovare nuove tecniche più allettanti
per perpetuarla o nuovi cosmetici istituzionali per occultarne le piaghe
inguaribili. La nascita e lo sviluppo dei gruppi antinucleari, di una rete
decentralizzata di gruppi di affinità la cui attività si fondava su processi
decisionali direttamente democratici, sembrò alimentare questa speranza. Il
problema del movimento sembrava essere principalmente un problema di
auto-formazione e di educazione sociale - la necessità di comprendere a
fondo il significato della struttura dei gruppi di affinità come forma
durevole e "familiare", il significato della democrazia diretta e del
concetto di azione diretta come qualcosa di più che una "strategia": una
sensibilità profonda, l'espressione del diritto che tutti hanno di
controllare in modo diretto la propria vita.
Il nuovo opportunismo
Per colmo d'ironia, gli anni '80, così promettenti nel senso di una
trasformazione radicale dei valori e della consapevolezza hanno visto
nascere anche una nuova forma di opportunismo, che minaccia di ridurre il
movimento ecologico a una patina di belletto sul volto della società. Molti
dei più intraprendenti "fondatori" dei gruppi anti-nucleari (e pensiamo
soprattutto alla Clamshell Alliance) si sono trasformati in quelli che
Andrew Kopkind ha definito " rivoluzionari manageriali" - manipolatori di un
consenso politico che opera all'interno del sistema nonostante
affermi di opporvisi.
Il "rivoluzionario manageriale" non è un fenomeno nuovo. Jerry Brown, (attuale
governatore democratico della California, n.d.r.), così come la
dinastia dei Kennedy, ha praticato quest'arte in politica per anni. Ciò che
colpisce nell'ultima leva è l'elevata percentuale di provenienza dai più
importanti movimenti rivoluzionari degli anni '60 e, fatto ancor più
significativo, dal movimento ecologico degli anni '70. Ai rivoluzionari e
agli idealisti degli anni '30 sono occorsi decenni per maturare quel cinismo
da mezza età che li ha portati a cedere le armi, e in ogni caso hanno avuto
l'onestà di ammetterlo pubblicamente. I membri della SDS (Students for
Democratic Society) e dei gruppi di azione ecologici hanno capitolato
nella tarda giovinezza o nei primi anni della maturità e all'età di 25, 30,
35 anni hanno scritto autobiografie "amareggiate", cercando di giustificare
razionalmente la resa allo status quo. Per quel che riguarda Tom Hayden (uno
dei leader del movimento pacifista, attuale marito di Jane Fonda,
n.d.r.), il suo discorso di quest'autunno a Seabrook contro l'azione diretta
non ha bisogno di ulteriori commenti, e mi risparmia il compito di
criticarlo. Peggio ancora, forse, sono le nuove organizzazioni come il
"Citizen's Party" di Barry Commoner, o le istituzioni finanziarie come la
MUSE (Musician United for Safe Energy), così come la celebrazione della
"Semplicità Volontaria" ad opera di una società dualistica formata da una
parte dalle élites intellettuali in blue-jeans delle classi medie e
dall'altra dai poveri cristi in abbigliamento convenzionale delle classi
lavoratrici e consumatrici; una società dualistica partorita dai cervelloni
dello Stanford Research Institute, finanziato dalle corporazioni
industriali.
I rivoluzionari manageriali
In tutti questi casi, i connotati radicali di una società decentralizzata
fondata sull'uso di tecnologie alternative e su un saldo tessuto comunitario
vengono cinicamente e astutamente asserviti alla sensibilità tecnocratica,
dei "rivoluzionari manageriali" e degli opportunisti che mirano alla
carriera politica. Il pericolo più grave è rappresentato dall'incapacità di
molti idealisti di affrontare i grandi problemi sociali nei termini che sono
loro propri - di riconoscere l'evidente incompatibilità di obbiettivi in
profondo contrasto gli uni con gli altri, di obiettivi che non possono
necessariamente coesistere senza consegnare il movimento ecologico nelle
mani dei suoi peggiori nemici. Spesso, purtroppo, questi nemici sono quei
"leaders" e quei "fondatori" del movimento, i quali hanno cercato di
manipolarlo per renderlo conforme a quel sistema e a quelle ideologie che
impediscono ogni forma di riconciliazione sociale o ecologica nella forma di
una società ecologica.
Il fascino dell'"influenza", della "politica istituzionale",
dell'"efficacia" dimostra in modo lampante la mancanza di coerenza e di
consapevolezza che affligge il movimento ecologico dei giorni nostri. I
gruppi di affinità, la democrazia diretta e l'azione diretta potranno
difficilmente essere allettanti - o, se è per questo, neppure comprensibili
- ai milioni di individui che passano la vita in solitudine nei bar e nelle
discoteche. Quel che è tragico è che questi milioni di individui hanno
delegato il loro potere sociale, anzi hanno ceduto la loro personalità, a
politicanti e burocrati che vivono in una dimensione di obbedienza e di
comando nella quale loro, gli individui, sono normalmente tenuti a giocare
un ruolo subordinato. Eppure è proprio questa la causa più immediata
della crisi ecologica che affligge il nostro tempo - una causa che ha
la sua origine storica nella società mercantile che ci sommerge. Chiedere a
coloro che sono privi di potere di riconquistare il controllo sulla loro
esistenza è anche più importante che installare un collettore solare,
complicato, costoso e spesso incomprensibile, sul tetto della casa in cui
abitano. Finché costoro non riacquisteranno un senso di potere sulla vita,
finché non creeranno un sistema autonomo di gestione in contrapposizione a
quello gerarchico attuale, finché non troveranno nuovi valori ecologici con
i quali sostituire i valori sociali del sistema dominante - un processo,
questo, che i collettori solari, i mulini a vento e l'orticoltura possono
facilitare, ma non rimpiazzare - nessuna trasformazione sociale potrà
instaurare un nuovo equilibrio con il mondo naturale.
Ovviamente, coloro che sono privi di potere non saranno propensi ad
accettare, in situazioni normali, i gruppi di affinità, la democrazia
diretta e l'azione diretta. Tuttavia, il fatto che essi nutrano impulsi
basilari tali da determinare una elevata suscettibilità nei confronti di
queste forme e di queste attività - fatto che non manca mai di sorprendere i
"rivoluzionari manageriali" in periodi di crisi e di conflitto - esprime una
potenzialità che deve ancora essere pienamente valutata, compresa e resa
intellettualmente coerente mediante un paziente lavoro di educazione e con
un continuo ricorso all'esemplificazione. Ed è precisamente questa
educazione e questa esemplificazione che certi gruppi femministi e
anti-nucleari hanno cominciato a fornire.
Il carattere più sorprendentemente reazionario del tecnicismo e della
politica elettorale dei tecnocrati ambientalisti e dei "rivoluzionari
manageriali" di oggi è insito nel tentativo di ricreare, nel nome di una via
"dolce" all'energia, di una "decentralizzazione" del tutto speciosa e di
strutture partitiche intrinsecamente gerarchiche, le forme e le abitudini
peggiori che incrementano nell'opinione pubblica americana la passività,
l'obbedienza e la vulnerabilità nei confronti dei mass-media. La politica
pubblicistica di Brown, di Hayden, di Commoner e dei "fondatori" della
Clamshell come Wasserman e Lovejoy, così come le recenti, enormi
manifestazioni a Washington e a New York, non educano cittadini:
allevano masse. Le masse, infatti, sono sempre l'oggetto manipolato
dai mass-media, sia quando li usa la Exxon, sia quando li usano la CED
(Campaign for Economic Democracy), il Citizen's Party o la MUSE. L'ecologia
viene usata contro ogni sensibilità ecologica, contro ogni forma di
organizzazione o pratica ecologica per "conquistare" gruppi sempre più
vasti, non per educare. Il terrore dell'"isolamento", della
"futilità", dell'"inefficacia" genera una nuova forma di isolamento, di
futilità e di inefficacia: l'abdicazione dagli ideali dagli obiettivi
basilari e fondamentali. Il prezzo della conquista del "potere" è la perdita
dell'unico potere del quale realmente disponiamo per trasformare questa
società folle e malata: quello della nostra integrità, dei nostri principi,
dei nostri ideali. Tutto ciò potrà fare la fortuna di chi usa i problemi
ecologici per dare la scalata al prestigio e al potere, ma potrà essere la
tomba di un movimento che coltivava l'ideale di un mondo nuovo, nel quale le
masse si tramutino in individui, nel quale le risorse naturali si tramutino
in natura e nel quale entrambe queste entità godano del rispetto dovuto alla
loro unicità e spiritualità.
L'ecologia sociale
Un nuovo movimento femminista orientato in senso ecologico sta nascendo e
i gruppi anti-nucleari non sono ancora scomparsi. La fusione di entrambi con
altri movimenti che probabilmente emergeranno dalle svariate crisi che
funestano la nostra epoca potrà inaugurare uno dei decenni più esaltanti e
libertari del secolo. Il problema ecologico non deve essere separato dal
sessismo, dal problema degli anziani, dall'oppressione razziale, dalla
"crisi energetica", dal problema del potere delle corporazioni, dalla
medicina tradizionale, dalla manipolazione burocratica, dalla coscrizione,
dal militarismo, dalla degradazione urbana, dal centralismo politico. I
denominatori comuni di tutti questi problemi, e il bersaglio principale di
una ecologia sociale radicale, sono la gerarchia e la dominazione.
Credo sia necessario che tutti coloro che militano nel movimento ecologico
decidano una volta per tutte: gli anni '80 saranno ancora vissuti
all'insegna dell'ideale visionario di un futuro ecologico fondato
sull'impegno libertario verso la decentralizzazione, la tecnologia
alternativa, i gruppi di affinità, la democrazia diretta, l'azione diretta,
oppure saranno contrassegnati da un angoscioso regresso nell'oscurantismo
ideologico e nella "politica istituzionale", che mira al "potere" e
all'"efficacia" conservando quelle stesse istituzioni che dovrebbe
distruggere? Il movimento cercherà di aggregare "vasti gruppi" del tutto
fittizi, imitando quelle stesse forme di manipolazione di massa e usando
quegli stessi mass-media e quella stessa cultura di massa che dichiarava di
aborrire? Le due vie sono incompatibili.
Il nostro uso dei "media", le nostre azioni e mobilitazioni devono stimolare
la mente e lo spirito, non fondarsi su riflessi condizionati e su tattiche
d'urto che non lasciano spazio alla ragione e all'umanità. In ogni caso, è
giunto il momento di scegliere, e bisogna farlo ora, prima che il movimento
assuma il carattere di un'istituzione e diventi una semplice appendice del
sistema la cui struttura e i cui metodi vuole contrastare. E la scelta dev'essere
definitiva e consapevole, altrimenti non solo questo decennio, ma tutto il
secolo sarà perduto.